Ecommerce maniaAnsia da algoritmo, il Black Friday visto dai driver di Amazon

Ritmi frenetici e tempi di consegna calcolati dall’algoritmo. “Se devo fare pipì? Si spera che ci sia traffico. Altrimenti arriva la chiamata: “Perché ti sei fermato?”. E nel periodo di picco la pressione aumenta

«È #blackfriday anche per gli autisti di Amazon? Le offerte le pagano i lavoratori». Lo ha scritto la Filt Cgil piemontese sui volantini distribuiti tra i driver arrivati a caricare i pacchi scontati davanti al nuovo deposito Amazon di Brandizzo, a meno di venti chilometri da Torino. Nel centro di smistamento aperto a settembre, non c’è ancora un rappresentante sindacale. Di notte si lavora per scaricare e smistare gli ordini in base ai codici di avviamento postale. All’alba i circa 300 corrieri delle ditte in appalto caricano sui camioncini le sacche piene di pacchi, e partono di corsa per il primo indirizzo indicato dall’algoritmo, che con il Gps segue le consegne. E in questi giorni di picco di acquisti, il lavoro si fa più frenetico del solito. «Se ci scappa la pipì? Si spera che ci sia un po’ di traffico», raccontano i driver. «Per pranzo invece mangiamo un panino mentre guidiamo. Meglio non perdere tempo, altrimenti arriva la chiamata: “Perché ti sei fermato?”».

Storie di ordinaria amministrazione dietro le quinte del colosso di Jeff Bezos, ossessionato dall’efficienza. Tutto è calcolato e ottimizzato dal software caricato sui palmari distribuiti ai corrieri per rendere le consegne il più veloci possibile. Ogni percorso è analizzato dal “cervellone”, che incrocia “routes”, distanze, percorrenze e traffico per ridurre al massimo gli sprechi di tempo. A maggior ragione da novembre a gennaio, i mesi d’oro del Black Friday e del Natale.

Per fare pipì? Si spera che ci sia un po’ di traffico e il software dica di fermarsi. Per pranzo mangiamo un panino mentre guidiamo. Meglio non perdere tempo, altrimenti arriva la chiamata: “Perché ti sei fermato?”

Da Nord a Sud, Amazon ha appaltato la distribuzione dei pacchi a ditte esterne della logistica, con accordi economici di cui si sa poco o nulla. Le ditte mettono furgoni e corrieri, i ritmi di lavoro sono gestiti da Amazon. «Ma si sa che le aziende non vengono pagate tanto», confessano i driver. Solo a Brandizzo, Torino, si contano quattro diverse aziende per trecento driver, ognuno con un giubbettino di colore differente a seconda della società per la quale si lavora. Nella zona intorno a Roma sono otto, ciascuna con 60-70 driver dedicati solo alla consegna dei pacchi di Amazon. Tra Milano e Varese, su quattro depositi di smistamento, le ditte coinvolte sono una decina.

Ai corrieri viene applicato il contratto della logistica. Alcuni sono a tempo pieno; altri hanno part time verticali, usati per coprire il surplus di lavoro nei giorni di picco di richieste. Quasi tutti a tempo indeterminato. Le condizioni, e le paghe, però variano di zona in zona, soprattutto a seconda del livello di sindacalizzazione degli stabilimenti. In Lombardia, dopo lo sciopero dei driver di ottobre, la Filt Cgil è riuscita a ottenere un accordo integrativo migliorativo, con due euro in più sulla indennità di trasferta dei corrieri, che da 10 sale a 12 euro, e un orario giornaliero di lavoro di 9 ore e un quarto, compresa una pausa pranzo di 30 minuti. Un’intesa valida sul territorio regionale, per tutte le imprese utilizzate da Amazon.

I ritmi sono imposti dall’algoritmo, che stima già in partenza quanto tempo devi impiegare per la consegna, e impone ai driver le pause quando c’è traffico


Alessandro Antonelli, segretario regionale Filt Cgil Roma-Lazio

E anche il numero delle consegne, gli “stop” come le chiamano in gergo, variano di zona in zona. E di giorno in giorno. Nel torinese si va da 89-90 a 120-140 al giorno. Intorno a Roma si aggirano tra 100 e 120. Nella cerchia di Milano si arriva anche 150. Ma per ogni fermata si può consegnare anche più di un pacco, toccando pure le 200 consegne per un turno di lavoro. Caricate le “bag” (le sacche con i pacchi), il software stabilisce quale sarà il primo indirizzo e si parte. Ovviamente il più veloce possibile. «I ritmi sono imposti dall’algoritmo, che stima già in partenza quanto tempo devi impiegare per la consegna», spiega Alessandro Antonelli, segretario regionale Filt Cgil Roma-Lazio. «Sai quale sarà il primo indirizzo, ma non ti dice dove andrai dopo. È un calcolo che fa sul momento in base a diversi parametri».

C’è chi per finire tutte le consegne, senza riportare i pacchi indietro, salta pause pranzo e “pause pipì”. «Perché se rientri con i pacchi non consegnati nel furgone, non vieni guardato bene, c’è chi verifica e controlla sul Gps il percorso che hai fatto per capire se ti sei fermato e hai perso tempo», raccontano i driver. «Ma se “fai il pazzo” e consegni i pacchi in meno tempo, finisci per “alimentare” l’algoritmo e la prossima volta ti chiederanno di consegnare più pacchi nello stesso tempo».

L’algoritmo, come lo chiamano, è lo spauracchio di tutti. Nessuno, tra i lavoratori, sa davvero come funziona. «È lui che ci guida», dicono. Imponendo «anche le pause per il riposo», spiega Antonelli. «Se c’è troppo traffico, dice al corriere di fermarsi. Se devi fare fare pipì? Ci si augura che sia in quel momento di traffico». Ma se il corriere si ferma senza seguire le indicazioni del palmare, arriva la chiamata da Amazon: “Perché ti sei fermato?”. E con Amazon Prime Now, che a Milano recapita i pacchi anche in una o due ore, la consegna è al cardiopalma. Non si può sgarrare se sull’ordine è scritto che la cassa d’acqua arriverà tra le 17 e le 19.

Il problema non è il carico di lavoro, ma i ritmi. Si lavora sempre sotto stress, con una gestione del servizio esasperata, come se non si alzassero mai gli occhi dalla catena di montaggio

E così spesso si finisce per premere il piede sull’acceleratore più del dovuto. «In tanti prendono le multe per eccesso di velocità, che Amazon addebita sui driver», racconta Teresa Bovino, segretaria generale Filt Cgil Piemonte. Quando per effettuare una consegna c’è di mezzo una zona a traffico limitato, di regola il driver dovrebbe percorrere il tratto a piedi, ma in tanti di corsa finiscono per entrare nelle zone vietate e le telecamere non perdonano. «È la stessa azienda che chiede di fare più in fretta possibile», aggiunge Bovino. «Ma dovrebbe fornire i permessi ai furgoncini».

Perché non sempre va tutto liscio. E se alcuni giorni il corriere per fare una tratta impiega meno tempo, «se becchi un giorno di sciopero dei mezzi pubblici, con il traffico in tilt, a fine turno ti puoi ritrovare con i pacchi ancora nel furgone. Per cui o lavori due ore in più del previsto. O si chiede “l’aiuto” a un altro driver che ha finito il turno», raccontano i corrieri. Tutto lavoro in più, in teoria pagato dalle aziende appaltatrici. Che storcono il naso. E che sborsano soldi pure per i cosiddetti “dispatcher” per il controllo del carico e scarico dei pacchi nei depositi. «Se si consegna il 98% dei pacchi, Amazon dà all’azienda una quota per pagare i dispatcher. Al di sotto no», raccontano i rider. «Amazon fa pressione sulle aziende, le aziende fanno pressione su di noi. Questa è la catena», racconta un rider. «Guarda, ci è appena arrivato un messaggio: “Non è accettabile rientrare finché hai i pacchi. Li devi consegnare tutti”. Le altre aziende sono al 97-98%, noi al 93!».

E con gli sconti del Black Friday e il Natale alle porte, la pressione aumenta. Ai corrieri lombardi è già arrivata la richiesta di lavorare anche in alcune domeniche di dicembre. L’adesione è volontaria, con un paga aggiuntiva. «Il problema non è il carico di lavoro, ma i ritmi», dicono i sindacalisti. «Si lavora sempre sotto stress, con una gestione del servizio esasperata, come se non si alzassero mai gli occhi dalla catena di montaggio». E se è vero che Amazon oggi è una delle poche aziende che assume in Italia, «i ragazzi che nel deserto sono contenti di aver finalmente trovato finalmente un lavoro, devono sapere che non è normale accontentarsi di pranzare ogni giorno mangiando un panino mentre si sfreccia guardando il tempo della consegna che scorre sullo schermo». Altrimenti, «gli sconti del Black Friday, chi li deve pagare? I lavoratori?».

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