Brontis Jodorowsky: “Il problema dei gilet gialli? Che si fanno domande, ma non hanno le risposte”

Il regista e attore di teatro, figlio di Alejandro, creatore di fumetti e film culto sostiene il movimento di protesta: "Non si può votare ogni cinque anni e poi non ascoltare niente e nessuno"

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«Nello svolgimento di una pièce di teatro si passa dall’ordine, al caos, a un nuovo ordine: ora siamo in un momento di caos ». Il sole parigino entra pallido dalla finestra del salotto, nel quartiere gentrificato di Gambetta, e attraversa le tende che hanno il colore di un sipario. È gennaio, ieri è andato in scena in tutta la Francia il « X acte » (decimo atto) dei gilets jaunes. Politicamente frammentatissimo, questo movimento condivide tra molti lo scontento per il governo Macron e si unisce nella divisa, un gilet catarifrangente giallo. E vicino al cimitero di Père Lachaise dove dal 1800 sono sepolti gli amanti Abelardo ed Eloisa, Brontis Jodorowsky, regista e attore di teatro, figlio di Alejandro creatore di fumetti, di film culto e anche della psicomagia, non ha molto di psicomagico quando sulla sua pagina Facebook scrive messaggi di sostegno ai gilet jaunes.

Indossa anche lei il gilet giallo?
Mi sciocca la violenza della polizia che ferisce i manifestanti con armi come i flashball, i fumogeni. Uno stato non deve fare questo. Le persone si trovano a perdere un occhio, una mano, perché vengono usati troppi da vicino. (Le Parisien parla di 2.000 feriti tra i manifestanti e mille tra le forze dell’ordine, ndr).

E si definirebbe un “gilet jaune”?
No, il movimento è partito da persone che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Io non ho questo problema: sono un artista, vivo modestamente in sessanta metri quadrati del mio mestiere, con molta fortuna, con tenacia, fatica e pazienza, ma non nelle condizioni economiche delle persone che costituiscono la maggioranza di questo movimento. Abito a Parigi, qui tutto funziona e non sono isolato.

Una “gilet jaune” a Roma ha detto che è in corso una nuova Rivoluzione Francese. E così?
Se è un paragone storico, non è pertinente. Però ora sono in 85 mila a manifestare, non si può discutere la singola opinione di tutti.

Il 17 novembre erano in 147mila, qualche giorno fa 85mila: sono diversissimi tra di loro, durerà?
È la protesta del momento, di critica al presente. Non fanno progetti per il futuro. I gilet jaunes non hanno delle risposte, è questo l’aspetto interessante. Però hanno delle domande.

E se dovessero diventare un partito che si candida alle elezioni Europee di maggio, lo voterebbe?
Dubito che diventi un partito, perché è composto da gente con troppi punti di vista diversi : la France Insoumise (estrema sinistra ndr), il partito socialista, l’estrema destra. E’ un riflesso della società. Qualcuno vorrebbe che diventasse un partito politico perché così sarebbe etichettabile. Ma non è simile a niente.Penso che non diventerà un partito politico ma sicuramente infuenzerà quelli che già esistono.

Dubito che diventi un partito, perché è composto da gente con troppi punti di vista diversi : la France Insoumise (estrema sinistra ndr), il partito socialista, l’estrema destra. E’ un riflesso della società. Qualcuno vorrebbe che diventasse un partito politico perché così sarebbe etichettabile. Ma non è simile a niente. Penso che non diventerà un partito politico ma sicuramente infuenzerà quelli che già esistono.

Dicono che i politici sono pagati troppo, lei che ne pensa?
Sì e no. Dipende, come con i calciatori. Certi sono pagati tantissimo perché sono talentuosi, e certi invece cercano di sfruttare lo stato per godere dei privilegi. Non bisogna generalizzare. Il vero problema è che le varie classi sociali non comunicano tra di loro. Le classi dominanti non capiscano la realtà delle classi sociali più povere e medie. E vale anche l’inverso.

Cioè?
Ciascuno vive nel suo mondo, nella sua bolla. Si va verso un individualismo molto forte. Anche gli algoritmi dei social media ci spingono a restare nella nostra bolla : ci compare solo quello che vogliamo leggere. Per questa ragione io metto i like anche alle persone con cui non sono d’accordo, così non spariscono dalla mia bolla.

E la soluzione è il “gran débat” che ha proposto Macron coinvolgendo i cittadini e i sindaci?
Non credo, è una risposta tecnocratica. Credo che la sua “lettera ai francesi” che anticipava l’inizio del dibattito con i comuni fosse piuttosto una forma di violenza: così lunga, così dettagliata, e così precisa nelle questioni…

Marine Le Pen ha detto che i gilet jaunes sono la sua gente.
Le Pen è un’opportunista, lo è sempre stata. E non è la sola in politica. Anche Mélenchon, lo sono tutti coloro che solleticano la pancia del paese. E vogliono trarre vantaggio da questa situazione.

Pensa che possa essere giusto in questo quadro la richiesta del referendum di iniziativa popolare?
Non credo nei referendum, sono troppo legati al successo nella comunicazione. Ci vuole la democrazia rappresentativa, ma la rappresentazione deve essere reale. La politica oggi ci induce a essere fan di qualcuno o di qualcosa, senza pensare ai contenuti. I movimenti populisti vogliono riprendere il controllo, come succede in Brasile, in Italia: contro l’Europa, contro l’oligarchia… il referendum serve a riprendere questo controllo. Ma bisogna cambiare la formula rappresentativa: non si può votare ogni cinque anni e poi non ascoltare niente e nessuno, pensando che si è stati eletti e votati. Per questo penso che i gilet jaunes siano interessanti. Sono un ritorno della politica alla gente, promuovono più impegno politico, non per forza in un partito politico e non per forza in un « grande dibattito » organizzato dal potere. I gilet gialli stanno creando un caos che può essere fertile.

È d’accordo con loro che vogliono le dimissioni di Macron?
Posso capirlo. Ma poi chi ci sarà dopo di lui? Lui è solo il sintomo di un sistema malato fondato sull’avidità, la cupidigia, non è la causa.

Le Monde ha scritto una inchiesta in cui si dice che dentro il movimento ci sono estremisti di destra e antisemiti.
Ci sono così come ci sono nella società francese, e come nell’Assemblée nationale (parlamento) È una realtà, ma non è l’essenza di questo movimento.

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