Due candidati contrapposti alla segreteria: Maurizio Landini e Vincenzo Colla. E un documento unitario, votato a maggioranza bulgara con il 98% di sì. Con questo paradosso, la Cgil, unita ma spaccata a metà, apre il suo 18esimo congresso a Bari – dal 22 al 25 gennaio – dal quale verrà fuori il nome del nuovo leader del sindacato rosso. E mai come questa volta non si sa chi vincerà. Non era mai successo che la Cgil scegliesse il suo segretario al congresso. Chiunque vincerà lo farà per una manciata di voti, e si troverà in mano un sindacato diviso, lacerato da malumori e tensioni, che il 9 febbraio dovrà pure scendere in piazza con Cisl e Uil in una manifestazione già di per sé difficile contro misure popolari come reddito di cittadinanza e quota cento.
Entrambi emiliani, entrambi metalmeccanici, Landini e Colla non sono espressioni di due documenti sindacali diversi. Anzi, hanno votato entrambi lo stesso programma, racchiuso nel testo congressuale “Il lavoro è”. A dividerli è la prospettiva: espansiva quella di Colla, più difensiva quella di Landini.
E all’origine di questa spaccatura c’è un nome: quello del segretario uscente Susanna Camusso, che con un coup de theatre a ottobre ha approvato la candidatura dell’ex leader Fiom Maurizio Landini contro il parere di due membri della segreteria. Uno è Roberto Ghiselli. L’altro, appunto, Vincenzo Colla.
Camusso sapeva che la candidatura di Landini non avrebbe unito gli animi, ma è andata avanti lo stesso. Il suo candidato iniziale, in effetti, era un altro, anzi un’altra: Serena Sorrentino, 40 anni, appena rieletta alla guida della Fp Cgil, che alla fine però non è stata ritenuta ancora pronta a un incarico di questo tipo nel grande apparato di Corso d’Italia. E il paradosso nel paradosso vuole che fu lo stesso Colla nel 2016, con il rinnovo della segreteria, a spingere perché Landini venisse ammesso ai piani alti, ricomponendo gli animi dopo gli scontri con la Fiom, che hanno rischiato persino di finire davanti al Comitato di garanzia del sindacato. Un miracolo.
Fu lo stesso Colla nel 2016, con il rinnovo della segreteria, a spingere perché Landini venisse ammesso ai piani alti, ricomponendo gli animi dopo gli scontri con la Fiom, che hanno rischiato persino di finire davanti al Comitato di garanzia del sindacato
Tant’è che lo stesso Landini, dopo aver dialogato con Renzi prima e rappresentato la spina nel fianco di Camusso poi, una volta entrato nella segreteria confederale si è adeguato al nuovo ruolo. E a chi ora lo ritiene poco affidabile per i trascorsi anti-Camusso, i suoi sostenitori rispondono che invece negli ultimi anni si è adeguato all’«afflato confederale». Con una impostazione più che conciliante.
Che si sia “convertito” o no, però, Landini incarna l’ala “movimentista” del sindacato, come la Fiom è sempre stata, prima categoria a pretendere il “sindacato casa di vetro” sulla scia del populismo sindacale dei Cinque Stelle. Contro di lui il più istituzionale Colla, che pure dalla Fiom proviene, ma che rappresenta invece quel bagaglio storico di valori di una certa sinistra, al quale non si vuole rinunciare.
Landini il volto televisivo, carismatico, popolare. Contro quello di Colla, progressista e riformista, con un alto indice di gradimento nel sindacato, ma che in pochi all’esterno conoscono. «Nell’epoca della disintermediazione, che vorrebbe eliminare i sindacati, sarebbe tafazziano eleggere uno come Colla», dicono i landiniani. «Come condannarsi all’eutanasia». «Colla rappresenta la necessità della intermediazione dei sindacati, contro il modello populista del “pifferaio magico”», rispondono gli altri.
La spaccatura sta tutta qui, nelle due visioni della Cgil del futuro: il sindacato di sinistra, che può contare ancora 5 milioni e mezzo di iscritti, molti dei quali però – compresi i dirigenti – all’ultima tornata elettorale hanno votato per i Cinque Stelle, e pure per la Lega. Cosa ne sarà ora della Cgil orfana del Pd con i gialloverdi all’orizzonte?
I landiniani vedono nella candidatura di Colla la lunga manus del Pd post-Renzi e «il tentativo del partito di rifarsi un look “più working class” dopo il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18». L’altra metà del sindacato agita con Landini il rischio dell’antipolitica e della “grillizzazione” della Cgil
Dopo un flirt iniziale con i grillini sul decreto dignità, negli ultimi mesi la Cgil si è messa di traverso. Ma nonostante agitino il vessillo dell’autonomia del sindacato dalla politica, i landiniani non escludono di poter dialogare anche con i pentastellati. Vedendo invece nella candidatura di Colla la lunga manus del Pd post-Renzi e «il tentativo del partito di rifarsi un look “più working class” dopo il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18». L’altra metà del sindacato agita con Landini invece il rischio dell’antipolitica e della “grillizzazione” della Cgil. «Se vuoi fare l’interesse dei lavoratori devi tradurre le tue proposte in atti concreti», dicono. «In piazza ci vai, ma poi c’è bisogno di qualcuno che si faccia interprete delle tue proposte in Parlamento». Esponenti del Pd che hanno appoggiato apertamente Colla non ce ne sono stati. Ma si sono visti diversi volti Dem partecipare ai congressi delle categorie che sostengono il candidato “riformista”, che non ha la tessera di partito ma non nasconde una certa amicizia con il governatore emiliano Vasco Errani.
Le categorie schierate con Landini sono metalmeccanici, agroalimentare, commercio, funzione pubblica, scuola, credito e gli atipici del Nidil. Con Colla ci sono i pensionati, chimici e tessili, edili, trasporti e comunicazione. Un appoggio non di poco conto, quello dei pensionati dello Spi, che oggi rappresentano il 50% degli iscritti totali, il cui voto però per statuto conta solo per il 25%. Se i pensionati dovessero mettersi di traverso contro Landini, una volta eletto, sarebbe un problema. Ma i landiniani assicurano: «Il mondo dei pensionati è più dinamico di quel che si pensa».
Il voto sul segretario, comunque, sarà a scrutinio segreto. E nessuno può garantite che dalle urne venga fuori qualche sorpresa. A ballare potrebbero essere circa un centinaio di voti tra gli 868 delegati che andranno a eleggere l’assemblea dei 200, dalla quale verrà fuori il nome del nuovo segretario. Sarà un testa a testa. A Bari, comunque, né Landini né Colla parleranno dal palco, come a voler dare una parvenza di unità.
Il rischio, però, è che il congresso vada bel oltre le scadenze. Cosa che paralizzerebbe il più grande sindacato italiano. Anche perché, se l’unità è sempre stata una necessità, dopo un congresso del genere – se si vorrà governare un’organizzazione così grande – dovrà diventare un obbligo. Colla ha già detto che chi prenderà un voto in più sarà il segretario di tutti. Landini non si è espresso allo stesso modo. Quello che si sa è che confermerà l’intera segreteria uscente scelta da Camusso, e alla fine potrebbe cambiare ben poco. Ma ormai l’ex leader Fiom è entrato in un ruolo ecumenico del tutto nuovo. Tanto che, dicono nel sindacato, le parole della sua ultima intervista a Repubblica «avrebbe potuto dirle dire anche Colla. Un Landini così riformista non si era mai visto».