Altro adigeEnergia, ambiente e innovazione: abbiamo la Svezia in casa e si chiama Bolzano

La Provincia autonoma, a metà tra mondo italiano e mondo tedesco, è un unicum: ha un piano per abbattere le emissioni nel 2050, punta ad avere solo energia pulita, incoraggia i mezzi ecologici. E noi cosa aspettiamo a prendere esempio?

Quando nevica, a Bolzano prima vengono pulite le piste ciclabili e solo dopo le strade. Non è strano: qui la bicicletta è sempre di più il primo mezzo di trasporto. Il suo utilizzo è incoraggiato, sostenuto, facilitato. Perfino troppo: «Ne circolano così tante che non sappiamo dove parcheggiarle», scherza Ivan Moroder, responsabile della viabilità del Comune. Nel 2019 la sua città ha stanziato, solo per collegare e migliorare la rete di piste ciclabili, due milioni di euro. Per le automobili, ne ha messi quattro: un rapporto di uno a due «che è unico al mondo». Il modello di viabilità di Bolzano, nel frattempo, è diventato oggetto di attenzioni particolari: vengono a studiarlo specialisti dalla vicina Merano, ma anche da Bruxelles, Edimburgo, Lubiana e perfino dalla svedese Örebro. «Sacrifichiamo pezzi di strada per farci le ciclabili: all’inizio gli abitanti e i commercianti protestano, poi ci ringraziano. Addirittura ne approfittano per fare una festa della via». Alle bici private si affianca il bike sharing, con otto nuove stazioni che saranno create nei prossimi mesi, con in più l’illluminazione intelligente, i sensori per ciclisti, i buoni premio per chi pedala (e riceve crediti, che potrà spendere in biglietti dei mezzi o buoni per eventi), il conta-bici: è la “Ciclopolitana”, nome buffo per una realtà molto seria. Con la quale Bolzano punta alla vetta della classifica della mobilità sostenibile, «che sia anche a misura di anziano: non ci sfugge che la popolazione invecchia e la vita media si allunga. La bicicletta è solo una parte di tutta la rete. Noi vogliamo integrarla con i mezzi pubblici, all’idrogeno ed elettrici, con panchine per riposarsi e strade più sicure».

Facile, però, farlo lassù. Il Trentino-Alto Adige è una delle regioni più ricche d’Italia. La sola Provincia autonoma di Bolzano ha avuto nel 2018 una crescita del Pil del 2,1% (il dato nazionale è dello 0,9%), un tasso della disoccupazione del 4,1% (quello italiano del 10,9%), una disoccupazione femminile ferma al 3,9% (a fronte del 12,3% del resto del Paese). In più, può contare su un bilancio annuale che supera i cinque miliardi e mezzo di euro, grazie anche al fatto che il 90% del gettito fiscale resta in casa. È la nostra Svezia, la nostra Norvegia e, per le bici, la nostra Shanghai. Tutto merito dell’autonomia: la Provincia spende e progetta nelle iniziative per il territorio, copre l’istruzione e la sanità, a lei toccano le strade provinciali e regionali. In tutto questo segue un proprio piano specifico, una visione del futuro incentrata su ambiente e innovazione. Punta, insomma, a diventare una “Green Region”.

Ce la può fare? C’è da dire che la natura e la storia, in un certo senso, le hanno anche dato una mano, ad esempio per quanto riguarda il settore dell’energia pulita, in cui si punta a coprire il 75% del fabbisogno energetico con rinnovabili nel 2020, e del 90% entro il 2050. La regione, come è noto montuosa, è ricca di corsi d’acqua. Come ricorda il presidente della Regione Arno Kompatscher, «durante il fascismo sono state costruite varie centrali elettriche, la cui più importante è quella di Cardano, a pochi chilometri da Bolzano», (anche questi percorribili con comodità lungo una pista ciclabile, nda). La centrale, aperta nel 1929, produce ogni anno circa 650mila megawattora (pari al fabbisogno energetico di 200mila famiglie). Se si pensa che Bolzano nel 1901 consumava, ogni anno, 150 kilowattora, si capisce quanto le cose siano cambiate.

Il Trentino-Alto Adige è una delle regioni più ricche d’Italia. La sola Provincia autonoma di Bolzano ha avuto nel 2018 una crescita del Pil del 2,1% (il dato nazionale è dello 0,9%), un tasso della disoccupazione del 4,1% (quello italiano del 10,9%), una disoccupazione femminile ferma al 3,9% (a fronte del 12,3% del resto del Paese)

Oggi la centrale è affidata, in concessione trentennale, alla società multiutility Alperia. Vera e propria spina dorsale della rivoluzione green della zona, è una Spa con soci pubblici (in prima fila la Provincia, poi il Comune di Bolzano e Merano e infine una società, Selfin, che racchiude i 100 altri Comuni della provincia) e raggruppa società che coprono l’intero comparto dei servizi per l’energia. Tradotto: la producono, la vendono, la distribuiscono. In tutto, Alperia gestisce 15 dighe e 34 centrali elettriche, si occupa del trasporto dell’energia, cura i 9mila chilometri della rete elettrica. Produce un totale di 3,9 terawattora, ne vende 3,2, ha un ricavo di 1,1 miliardi di euro (dati del bilancio 2017). Un colosso: a livello di produzione energetica, è il terzo soggetto italiano dopo Enel e A2A.

Nel quadro della Green Region, il ruolo giocato dall’energia di origine idroelettrica è intuibile. Viene impiegata, oltre che per gli utilizzi abituali, anche per la creazione e la fornitura di colonnine per la ricarica delle automobili elettriche (si progetta, entro il 2020, di piantarne 5mila) e, in misura minore, delle biciclette (ancora loro) elettriche. Nella Provincia autonoma si dovrà poter girare con mezzi alimentati con elettricità o, se si vuole, a idrogeno – per il secondo esiste solo una stazione di rifornimento, per ora. Ma assicura Kompatscher che «la centrale di Cardano, nei periodi di bassa intensità, contribuirà a produrre anche idrogeno», almeno secondo i piani.

Non solo. Al momento è previsto, secondo i dettami della concessione, lo stanziamento da parte di Alperia di 16 milioni di euro all’anno per i comuni rivieraschi, da impiegare in progetti di carattere ambientale, collegati al territorio e ai corsi d’acqua. Finora ne avrebbero usufruito in 41, per mettere a posto sentieri e percorsi nei boschi, per interrare i cavi e per l’installazione di impianti energetici a risparmio energetico. Per finanziarsi hanno anche emesso due bond (cosiddetti “green bond”), in corone norvegesi, la moneta degli investitori più interessati.

A Bolzano no, le cose funzionano. E affiora il dubbio, anzi la certezza, che tutta questa organizzazione, tutta questa dedizione per la conservazione del territorio, tutta questa cura per il rispetto della natura siano, messe insieme, un unicum

Oltre alle centrali e alla rete elettrica, ad Alperia toccano, sempre per concessione, anche sei impianti di teleriscaldamento. Una rete che, diffusa sul territorio altoatesino permetterebbe, secondo i loro dati, di non emettere 35mila tonnellate di Co2 ogni anno. A Bolzano c’è quello più importante, in funzione da 30 anni, che secondo i progetti sarà ampliato fino a comprendere, nel loro obiettivo di business, tutto il territorio. A elevarsi come simbolo di questo new deal energetico bolzanino si eleva la torre di accumulo, un enorme serbatoio di 40 metri che custodisce 5.850 metri cubi di acqua a 95 gradi, temperatura che scende fino a 80 nelle case più lontane. Qui si utilizza, comprandola, l’energia del termovalorizzatore (a legno cippato), che è considerato a emissioni di Co2 zero. «È difficile confrontare la bolletta del teleriscaldamento con quella del gas tradizionale», spiega Mauro Marchi, presidente del Consiglio di sorveglianza. «La seconda è soggetta agli andamenti altalenanti del mercato». In generale, calcola e forse esagera, «si può vedere un risparmio, compresa l’assenza di spese per la manutenzione, che va dal 20 al 30% della bolletta». E poi, aggiunge, va conteggiata la soddisfazione di non inquinare.

Infine, a integrare la rete del teleriscaldamento e quella elettrica ci sarà anche una smartgrid: il progetto non è solo di diventare green, ma anche smart. In altre parole, l’erogazione di energia e calore sarà integrata a sistemi di controllo e di intelligenza artificiale. Forse in futuro, chissà, anche accompagnando le telecomunicazioni, perché c’è il vantaggio di entrare fin dentro le case delle persone.

Insomma, biciclette, centrali elettriche, colonnine per la ricarica dei mezzi elettrici e teleriscaldamento. Ma non solo: il piano ambientale della Provincia è complesso, ampio e a più livelli e si fonda, oltre che sulla pianificazione, anche sulla ricerca. È in questo senso che interviene il secondo polmone del territorio, cioè il parco tecnologico Noi Techpark, focalizzato nello sviluppo di soluzioni tecnologiche e innovative ai problemi delle persone. È in questa struttura, ospitata da una ex fabbrica di alluminio (anche questa lascito del fascismo), che lavorano 400 studiosi, provenienti da 25 Paesi, in almeno 30 startup che hanno un tasso di sopravvivenza – udite udite – del 92% (di solito è quello di mortalità).

Si lavora su progetti per il food-tech, cioè la manipolazione dei cibi per andare incontro alle intolleranze e alle allergie, per l’alpine, cioè tutta la tecnologia dell’alta montagna, per l’automotive e l’automation e, come è ovvio, per il green. Da qui nel 2014 è partita l’iniziativa del progetto Sinfonia (compartecipato anche da Alperia) per ridurre la dispersione di energia nelle case. La procedura, applicata all’edilizia popolare (!) prevede il rinnovo dei locali senza la necessità di far uscire, nemmeno per un breve periodo, chi vi abita. A Bolzano si è applicato all’edificio l’ormai classico “cappotto”, si è installato il teleriscaldamento, addirittura un sistema di ventilazione meccanica controllato, ed è arrivato il certificato di sostenibilità CasaClima. «In questa zona, è permesso anche l’utilizzo della geotermia», spiegano Roberto Lollini responsabile del gruppo di ricerca sull’efficienza energetica degli edifici di Eurac Research e Rosario Celi, Responsabile Opere Pubbliche Comune di Bolzano. «La situazione è migliorata: non ci sono spifferi, il consumo è diminuito e l’umidità è scomparsa». Una situazione che sembra difficile ma che, in realtà, non si può nemmeno comparare «con certi edifici spagnoli – e si parla della Catalogna, cioè una zona ricca e avanzata – costruiti nel boom degli anni ’90», che cadono già a pezzi.

A Bolzano no, le cose funzionano. E affiora il dubbio, anzi la certezza, che tutta questa organizzazione, tutta questa dedizione per la conservazione del territorio, tutta questa cura per il rispetto della natura siano, messe insieme, un unicum. Da un lato le biciclette, dall’altro il centro di ricerca definito «ultima barriera per la fuga dei cervelli dall’Italia». In mezzo, l’erogazione di energia pulita. Un modello importante, ma impossibile da esportare. «Cose come il progetto CasaClima, o come il piano che abbiamo stipulato con l’Europa per impiegare i fondi europei nella produzione di idrogeno le può fare chiunque, in qualsiasi regione d’Italia», risponde sicuro Arno Kompatscher, dall’alto della sua maggioranza di governo provinciale ottenuta coalizzando il suo Südtiroler Volkspartei con la nuova Lega di Salvini. Anche questa, tutto sommato, è innovazione.

Sulla questione, del resto, non si tira indietro: «Non abbiamo cambiato rotta, solo alleato. E prima di coalizzarci, abbiamo stipulato un programma politico molto europeista. E sottolineo “molto”». A giudicare dai pochi mesi di governo insieme, ha ragione: poco o nulla è cambiato rispetto a prima. Finché scorrono i fiumi (anche se l’acqua nevosa un po’ più farinosa per colpa del cambiamento climatico, rovina i macchinari delle centrali), finché le emissioni vengono contenute, anzi diminuite, finché i bolzanini (che nonostante i tentativi di Mussolini di italianizzare la regione sono rimasti più di là che di qua) continueranno ad andare in bicicletta, qualsiasi coalizione, qualsiasi amministrazione avrà vita facile. Sempre che abbia a cuore l’ambiente «che è anche quello che, dagli impianti sciistici in giù, ci dà da vivere».

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