Cinema“Border”: l’umanità è malata, ma non sarà la natura a salvarci

Nell’ultimo film di Ali Abbasi, premiato a Cannes con il premio “Un certain regard”, la società umana degenera e la Natura prepara la sua vendetta, e insieme a confini tra i generi cinematografici si perdono anche quelli tra il bene e il male

La protagonista di Border, l’ultimo straniante film del regista metà iraniano e metà danese Ali Abbasi, si chiama Tina, è tanto brutta da non sembrare umana ed è sempre sola. È sola quando lavora alla frontiera, dove arrivano i traghetti e dove, sfruttando la sua iper sensibilità al malvagio e al senso di colpa, riconosce i colpevoli soltanto con uno sguardo. È sola quando è a casa con il compagno, un allevatore di cani che detesta ma con cui divide un rifugio nel bosco, lontano da tutti. Ed è sola anche quando va a trovare il padre, che con la scusa della demenza senile le nasconde un segreto sulla sua identità.

Tina è diversa da tutti. Grazie alla sua sensibilità, come un cane da tartufo del Male, Tina sente la puzza di questo decadimento morale in ognuna delle persone che le passano davanti tutto il giorno: ferma chiunque abbia fatto qualcosa di male: un paio di ragazzini che trasportano alcool illegalmente; un elegante manager che è pronto a tutto per nascondere una chiavetta USB, persino a mangiarsela; ma anche l’unico essere al mondo che le somiglia, l’unico che la attrae e con cui condivide la sua misantropia e il suo crescente odio per l’Umanità, il misterioso Vore.

Gli unici momenti di pace sono quelli che passa a contatto con la natura: nei boschi vicini a casa, sulla costa vicina a dove lavora. Lì, lontano dalla foga degli uomini, Tina, che come donna è orribile, deforme e sgraziata, sembra finalmente in equilibrio. Mentre intorno a lei la Natura sembra accoglierla come una specie di san Francesco, l’Umanità degenera, si ripiega su se stessa e si mostrifica sempre di più, tanto che si comincia a tifare: l’Umanità è una merda? Bene, allora torniamo alla Natura. Ma è un po’ più complicato di così.

«Gli umani sono parassiti, sfruttano tutto sulla terra solo per i loro capricci. persino i loro bambini. La razza umana è una piaga»

«Ho aiutato la polizia a catturare dei pedofili. Umani disgustosi, depravati. Una coppia normalissima. In un normalissimo appartamento IKEA». Quando Tina racconta a Vore perché sta collaborando con la polizia, da dietro quella patina laccata dell’Ikea, la dimensione della mostruosità morale della società umana esplode. Ma Tina, che si sente emarginata dall’Umanità e che agogna la Natura, comincia a scoprire di non essere solo diversa sia da quell’uomo incravattato che voleva mangiarsi la propria chiavetta USB, che dietro a una vita precisa, pulita e all’apparenza rispettabilissima, nasconde una storia mostruosa, sia da Vore, che di fronte alla sua confessione se ne esce con una frase che per misantropia supera Leopardi e ricorda dell’Agente di Matrix: «Gli umani sono parassiti, sfruttano tutto sulla terra solo per i loro capricci. persino i loro bambini. La razza umana è una piaga».

Se l’Umanità è una merda, la natura non è certo meglio e Vore lo dimostra in tutto il suo cinismo. Il suo spirito di vendetta è il vero volto della Natura, ed annichilente anche per Tina. Di fronte a quella cattiveria bestiale di quel suo piano econazista, Tina ritrova il più puro e scintillante umanesimo e quando Vore chiede il suo aiuto, nella sua replica c’è il messaggio più potente del film: «Non comprendo la malvagità. Non voglio fare del male. È da umani pensare una cosa del genere?». Oltre all’apologia di ogni diversità, Abbasi punta il dito nell’unico punto in cui, di questi tempi deliranti, dobbiamo scavare: che cosa significa essere “umani”?

In Border, il confine tra umano e naturale esplode completamente. E Abbasi è lì in mezzo che ti sposta come vuole: ti fa odiare la mediocrità di Tina, poi ti fa schierare dalla sua parte, ti fa provare schifo per l’Umanità degenere che le sta attorno e ti tifare asteroide, salvo poi riuscire a farti provare disgusto anche per quella. Ma la questione è più complessa di così, e il film decolla proprio su questa complessità. Attorno a Vore prende forma in crescendo un’inquietudine e una paura sovrannaturale. Abbasi non molla, dispiega la storia in tinte sempre più bizzarre trascinandola dal thrilling del poliziesco svedese al totalmente weird di una favola fantasy della tradizione folk nordica. Spariglia qualsiasi combinazione ci aveva fatto immaginare.

Borders è un film in cui tutti sono attraversati da un istinto ferino, che condanna sia l’Umanità sia la Natura, e che indica una sola via di uscita alla mostrificazione: è la via ibrida di Tina, un nuovo umanesimo post umano, che supera ogni frontiera

Il risultato è un film disturbante, potente, crudo, ma anche visionario, sorprendente e soprattutto originale. Un film in cui tutti sono attraversati da un istinto ferino, che condanna sia l’Umanità sia la Natura, e che indica una sola via di uscita alla mostrificazione: è la via ibrida di Tina, un nuovo umanesimo post umano, che supera ogni frontiera, esattamente come lo stesso Ali Abbasi fa coi generi, completamente disarticolati e ricomposti in un nuovo genere, profondamente realista e insieme profondamente fantasy.

Border è un film difficile per un pubblico come quello italiano, che è spesso pigro a livello di gusto ma è soprattutto mortificato da una distribuzione mediocre e limitata. Ma proprio per questo, in uno scenario asfissiato dall’ego di registi incontinenti, dominato da storie ombelicali, o da storielle edificanti e tranquillizzanti, guardare Border è ancora più importante. È svegliarsi di soprassalto come da un incubo molto realistico in cui abbiamo smesso di essere umani e in cui la Natura, lungi dall’essere il rifugio, rischia di essere il nostro mostro finale.

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