Cosa facciamo quando soffriamo di acidità di stomaco? Prendiamo una pastiglia per ridurla. Lo stesso deve fare il pianeta. Lo stomaco del globo sono gli oceani. L’acidità è l’anidride carbonica. Perché un trenta per cento delle emissioni di gas climalterante in atmosfera finisce nelle acque dei mari. La pastiglia alcalina invece stanno provando a svilupparla al Politecnico di Milano, insieme al Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) con un processo tecnologico realizzato dalla startup CO2Apps. Si chiama Desarc-Maresanus, la ricerca è finanziata dalla più grande società di gestione del risparmio in Europa, è stata presentata al Salone del Risparmio di Milano il 2 aprile ed è un progetto che lancia un guanto di sfida al mondo, all’industria e alla comunità scientifica internazionale.
Lo scopo? Studiare un processo per rimuovere anidride carbonica dall’atmosfera e che sfrutta biomasse per produrre calce con cui diminuire l’acidità dei mari, generando sottoprodotti decarbonizzati. Un processo che sia applicabile su larga scala ed economicamente vantaggioso. La premessa teorica? Che per stare dentro gli obiettivi di innalzamento delle temperature globali dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) non è sufficiente soltanto ridurre le emissioni di gas. «Se avessimo ridotto le emissioni 20 anni fa oggi non saremmo in questa situazione – spiega Stefano Caserini, docente al Politecnico di Mitigazione dei cambiamenti climatici e project leader della ricerca (Linkiesta ha pubblicato un estratto del suo ultimo libro) –. Gli impegni presi a Parigi ci permettono di evitare gli scenari peggiori ma siamo comunque avviati a un aumento di 3-3,5 gradi centigradi, mentre l’ultimo rapporto dell’Ipcc ci ha mostrato che dobbiamo cercare di stare dentro l’1,5».
Per questa ragione nell’ateneo milanese Caserini e il suo gruppo di ricerca si sono messi a lavoro su una delle branche di ricerca più recenti: studiare le tecnologie per le emissioni negative di anidride carbonica. «Fino ad oggi si sono usate le foreste, vere proprie piantagioni forestali dedicate a fungere da spugne di CO2 – spiega Caserini – mentre negli ultimi anni si sono sviluppate tecnologie che provano a imitare l’azione della foglia per fare la fotosintesi clorofilliana. Il nostro processo invece si basa sull’innalzamento del ph dei mari attraverso una pratica chiamata Ocean Liming». Come funziona? «Con lo spargimento di idrossido di calcio, quella che comunemente si chiama calce spenta, negli oceani – risponde Giovanni Cappello, ingegnere e fondatore, assieme a un socio statunitense, della start up CO2Apps che ha progettato e brevettato il procedimento –. Questo provoca un aumento del ph, ma sopratutto blocca due molecole di anidride carbonica in forma permanete di bicarbonato nell’acqua. Così facendo è il mare che viene usato come una grande spugna». «Aumentare il ph del mare – aggiunge il docente del Politecnico – permette anche di avere più CO2 che viene assorbita dall’atmosfera».
Idee visionarie? A giudicare di chi vi ha investito, proprio per niente. Le risorse iniziali per finanziare Desarc-Maresanus e gli staff di ricerca dei docenti Stefano Caserini e Mario Grosso del Politecnico e della dottoressa Simona Masina, responsabile dell’unità di modellistica oceanica del Cmcc, li ha messi Amundi Sgr. Prima società di gestione del risparmio in Europa per patrimonio con quasi 1.500 miliardi di masse di gestione di cui 280 miliardi in investimenti Esg (Environmental, social, governance), controllata da Crédit Agricole, dal 2015 ha partecipato assieme alle Nazioni Unite guidate dall’ex segretario generale Ban Ki-Moon alla realizzazione della coalizione per de-carbonizzare centinaia di milioni di dollari di investimenti, creando indici azionari globali ad hoc.
Tutto per risolvere il vero grande problema: come produrre la calce da spargere negli oceani senza impattare a propria volta sulle emissioni di gas nell’atmosfera? «Invece di bruciare un combustibile e produrre la calce con il metodo tradizionale – racconta l’ingegnere – facciamo la gassificazione del combustibile, produciamo un gas ricco di idrogeno e usiamo questo gas caldo per fare la cosiddetta calcinazione. A questo punto abbiamo un sottoprodotto a base di idrogeno che ha un valore sul mercato in grado di abbassare o addirittura eliminare il costo rispetto al normale processo basato sui combustibili per fare la calce». «L’intero processo ha un’emissione negativa: con una tonnellata di biomassa ‘catturiamo’ tre tonnellate di anidride carbonica, ma si può realizzare anche per i combustibili fossili. Con una tonnellata di carbone si cattura una tonnellata di CO2 e quando parliamo di miliardi di tonnellate allora la biomassa è una risorsa assolutamente scarsa, mentre invece il carbone c’è ed è presente. Oggi è possibile sviluppare il processo alle dimensioni previste dal problema del cambiamento climatico».
L’impatto del fallimento della mitigazione nei cambiamenti climatici è considerato oggi il più grande rischio al mondo
«La prospettiva – chiude Giovanni Cappello – è che vi siano delle società dedicate a fare emissioni negative e con l’idrogeno si adoperino per produrre energia de-carbonizzata a zero emissioni. Altre società di navi e flotte specifiche invece si occuperanno del liming dell’oceano per immettere nel mare l’idrossido di calce. Una prima fase che stiamo studiando e sarà sicuramente quella intermedia riguarda i traghetti che per esempio fanno la tratta Genova-Sardegna andata-ritorno: quello stesso traghetto che trasporta merci o passeggeri può spargere una piccola quantità di calce per compensare le emissioni del diesel o del combustibile che sta utilizzando. La nave da crociera può fare il bilancio delle proprie emissioni e, quando raggiunge un impatto negativo, vendere una quota addizionale al settore dell’aviazione dove almeno in fase iniziale è più complicato pensare di raggiungere a breve la de-carbonizzazione».
«L’impatto del fallimento della mitigazione nei cambiamenti climatici – spiega Paolo Proli, membro del consiglio di amministrazione di Amundi e Head of Retail Distribution della società – è considerato oggi il più grande rischio al mondo. Lo ha sancito lo stesso World Economic Forum di Davos dove, a gennaio, fra i primi grandi rischi globali segnalati c’erano i fallimenti della mitigazione dei cambiamenti climatici, i disastri globali e gli eventi estremi. Si intuisce come dieci anni fa i grandi rischi erano di natura geopolitica o macroeconomica, mentre oggi il mondo sta guardando a questi problemi con urgenza».
Per Proli il progetto di Desarc-Maresanus «è un bambino appena uscito dalla sala parto e aspettiamo la fine dell’anno per i primi dati empirici elaborati dai quattro siti di ricerca, ma l’ambizione e aver generato qualcosa che nei prossimi anni diventerà main stream. Non abbiamo l’arroganza di pretendere che questo filone diventerà per forza di cose quello in grado di coinvolgere tutta l’industria o per esempio gli armatori nei prossimi 20 anni sul Mediterraneo, tuttavia quando si è partiti nel 2014 sulla de-carbonizzazione non c’era l’attenzione concreta che c’è oggi e che impatta su ricerca, investimento, finanziamento, industria, regulator e governi». E chiude: «Noi facciamo anche private debt e private equity, il nostro azionista è Credit Agricole, siamo legati indissolubilmente al mondo delle imprese private e cercheremo di portare fuori dall’ambito solo accademico le ricerche che finanziamo. Il connubio può diventare dirompente e permettere alla scienza di raggiungere risultati accelerando i tempi che magari sarebbero di 40 anni»