Da oltre settant’anni, le materie plastiche hanno un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Purtroppo, quelle stesse qualità che le rendono così preziose per le nostre economie si stanno rivelando disastrose per gli ecosistemi. La contaminazione da plastiche è ormai ubiqua, e oltre a fiumi, laghi e mari riguarda anche i suoli e persino l’aria: respiriamo, beviamo e mangiamo plastica, con impatti pesanti sulla salute e sul funzionamento degli ecosistemi. Per fortuna, i segnali positivi non mancano, come dimostrano le norme approvate nel nostro paese sui sacchetti o quelle emanate dall’Unione Europea sulle plastiche monouso. È però ancora troppo poco, e il problema va affrontato passando da un’economia lineare basata sul monouso e lo spreco a una circolare incentrata sul riciclo, il riutilizzo e la valorizzazione delle risorse. Solo così potremo risolvere quella che, assieme ai cambiamenti climatici, è oggi considerata la principale emergenza ambientale globale.
Pubblichiamo un breve estratto de Atlante mondiale della zuppa di plastica di Michiel Roscam Abbing. Il libro, disponibile sul sito di Edizioni Ambiente, sarà nelle librerie dal 16 maggio
Circa il 3% della plastica prodotta ogni anno nel mondo finisce in mare. Nel 2014, la produzione mondiale ammontava a 311 milioni di tonnellate. Un gruppo di scienziati ha calcolato che in quell’anno il numero totale di particelle di microplastica sulla superficie degli oceani era compreso tra i 15.000 e i 51.000 miliardi, dimostrando così come si disgregano i pezzi di plastica più grandi. Nel complesso queste microplastiche potrebbero avere un peso compreso tra le 93.000 e le 236.000 tonnellate. Si tratta ovviamente solo di una piccola frazione dei circa 10 milioni di tonnellate che si stima siano finiti in mare nel solo 2010. Gli scienziati conclusero allora che in giro si trovi molta meno plastica di quanto previsto. Al momento della stesura del libro, nessuno è ancora in grado di spiegare in modo adeguato questo mistero.
L’analisi del contenuto delle reti a strascico rivela molto sulla zuppa di plastica. Le reti a maglie fini estraggono dalle acque superficiali particelle di plastica più larghe di 0,3 millimetri. Contandone il numero è possibile stimare quanta ne fluttui intorno, per esempio per chilometro quadrato. Il metodo ha i suoi limiti, perché magari una parte si è già frammentata in pezzi più piccoli di 0,3 millimetri, che non vengono così bloccati dalle maglie delle reti. Sulla plastica che fluttua più in basso o che si è adagiata sui fondali marini sappiamo ancora meno. A poco a poco, le ricerche chiariscono i complicati meccanismi di produzione della zuppa. Si pensa che molta della plastica fluttuante prima o poi finisca in fondo al mare.
Un altro meccanismo è il trasporto da parte degli uccelli, che raccolgono i piccoli pezzi dall’acqua e poi volano per migliaia di chilometri. Nel frattempo quella plastica finisce nel loro stomaco e viene espulsa in piccoli pezzi. Accade per esempio con la procellaria dei ghiacci, nell’Europa nordoccidentale: nei corpi di questi uccelli si trovano in media 35 pezzi di plastica. I due milioni di esemplari che vivono nella regione del Mare del Nord raccolgono e poi disperdono non meno di 630 milioni di pezzi ogni anno, per un totale di sei tonnellate, parte delle quali viene depositata sulla terraferma, lontano dal mare. Questi uccelli contribuiscono a pulire il mare, anche se poi inquinano la terra. Anche gli animali marini che ingoiano la plastica aiutano a chiarire il mistero. Analizzando il contenuto degli stomaci dei pesci che vivono tra i 200 e i 1.000 metri di profondità è possibile ipotizzare che vengano ingerite tra le 12.000 e le 24.000 tonnellate di plastica l’anno. Di una cosa quindi possiamo essere certi: i corpi di tutti quegli animali rappresentano una riserva colossale e invisibile di rifiuti di plastica.