El caminoAlla ricerca di un senso (e di un Dio) sulla strada per Santiago

“Abbronzati a sinistra” racconta il pellegrinaggio verso Santiago compiuto dallo scrittore Elio Paoloni, un “senzadio” che parte con una bestemmia e arriva con un’imprecazione. Eppure “Mai ho avvertito così intensamente il senso degli accadimenti“, dice

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l primo è un dettaglio repentino, che potete gettare alle ortiche. Dio si fa stanare in cammino. Chiede a tutti – da Abramo a Mosè, da Noè a Gesù – di muoversi per andargli incontro – che poi è un celestiale paradosso: perché Egli è ovunque e in nessundove. Fosse anche uscire dalla città e avviarsi al fiato del deserto: Dio non vuole liturgia statica ma polpacci che si corrodono, gambe fiacche, d’altronde a che serve la stazione eretta? – d’altronde, gli ebrei pregano con tutto il corpo, sono fermi ma in moto perenne. Il secondo è che il libro di Elio Paoloni, “una delle penne migliori sulla piazza”(l’autodefinizione è supportata dalla rassegna stampa relativa ai suoi libri, cito tra gli altri: Sostanze e Piramidi), s’intitola Abbronzati a sinistra (Melville, 2019), racconta il pellegrinaggio verso Santiago compiuto dall’autore, ma dichiara in copertina di essere un “Romanzo” e non un reportage.

Romanzo perché Dio è il più imponderabile e fantomatico e fantastico degli eroi ‘da romanzo’ della letteratura occidentale, come ghigna Harold Bloom? Probabilmente, perché il pellegrino è consustanziale allo scrittore, ma altro da lui, e perché il libro, piuttosto, non è uno sciatto reportage, uno sciupato libro ‘di viaggio’, un estatico manuale per umettare vagabondaggi mistici. Ha la statura narrativa di un romanzo, fin dall’incipit, che flirta con l’apofatico paradosso (“Tonda, sonora, sillabata: è con una sacrosanta bestemmia che comincia il santo viaggio”), gli sketch dialogici, le osservazioni ciniche o spensierate (“Se a Dio forse non credo ancora, al Diavolo sicuramente sì: mi è sempre difficile rintracciare gli indizi della imperscrutabile Provvidenza mentre trovo facilissimo intravedere la malignità, la crudeltà, l’irrisione, propri dell’operato diabolico. Non che sia impossibile supporre, a volte, l’intervento divino – o angelico – ma l’interpretazione di certi segni non riesce mai a superare il vaglio del dubbio”) di cui è costellato il libro, compresa l’apparizione di Lui, intorno a pagina 90 (“È in questa postura svagata, sarcastica, che Gesù mi fulmina. Si china verso di me dall’alto del suo asinello e fissa i suoi occhi nei miei. Dal nulla il suo sguardo, intenso, diretto, mi investe come un treno”). Elio Paoloni, voglio dire, mi pare come quei personaggi che baluginano dai romanzi russi di un secolo e mezzo fa: mezzi atei e mezzi azzannati da Cristo, sempre a penzolare tra l’abisso della fede e quello del nulla, che raspano con occhi come chiodi fino all’ultimo verbo insensato. In più, però, ha una ironia caustica e colta, alla Buster Keaton. Il viaggia a Santiago è come quello della mano che s’infittisce nell’amazzonico costato di Gesù, mi dico, immutabilmente idiota, William Blake di periferia, da due lire.

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