In seguito alla pubblicazione dell’articolo L’Azerbaigian distrugge siti archeologici di valore inestimabile, e l’Unesco applaude, dell’11 luglio 2019, presentiamo un’intervista all’ambasciatore azero S.E. Mammad Ahmadzada, che ha chiesto di poter rispondere punto per punto alle accuse mosse al suo Paese.
La situazione tra Azerbaigian e Armenia è, come noto, delicata. Potrebbe raccontare per sommi capi come si è arrivati al punto attuale?
La situazione attuale vede circa il 20% del territorio dell’Azerbaigian, riconosciuto internazionalmente, sotto occupazione militare da parte dell’Armenia. Ciò include non solo la regione del Nagorno Karabakh, ma anche i sette distretti adiacenti, ed è frutto delle rivendicazioni territoriali avanzate dall’Armenia contro il mio paese, all’indomani della dissoluzione dell’URSS. Non si parla di un conflitto religioso, ma territoriale. Il Nagorno Karabakh è la parte montuosa del Karabakh, territorio storico dell’Azerbaigian. Dai tempi antichi, fino all’inizio del 1800, questa regione era parte di diversi stati azerbaigiani, da ultimo il khanato del Karabakh, che fu occupato dell’Impero zarista insieme ad altri territori dell’Azerbaigian. Questo ultimo eseguì un massiccio trasferimento di armeni nei territori azerbaigiani, in particolare in Karabakh. Nel 1978 fu eretto un monumento in Karabakh, a riprova del 150mo anniversario dell’arrivo degli armeni nella zona, deliberatamente distrutto dagli stessi armeni a seguito del conflitto. Nel 1918 fu proclamata la Repubblica Democratica dell’Azerbaigian e l’Assemblea Nazionale Armena del Nagorno Karabakh ha riconosciuto ufficialmente l’autorità dell’Azerbaigian. Dopo che la Repubblica Democratica dell’Azerbaigian venne occupata dall’armata rossa e fu creata la Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian nel 1921, il Bureau Caucasico del Comitato Centrale del Partito Bolscevico decise di mantenere il Nagorno Karabakh all’interno della RSS dell’Azerbaigian. Nel 1923, il Comitato Esecutivo Centrale della RSS dell’Azerbaigian emanò un Decreto “Sulla formazione della Provincia Autonoma del Nagorno Karabakh”. I confini amministrativi della Provincia vennero definiti in modo che gli armeni ne rappresentassero la maggioranza. Per cui le radici del conflitto sono nel trasferimento degli armeni nei territori azerbaigiani, oltre che nella decisione di creare una provincia autonoma nella parte montuosa della regione del Karabakh dell’Azerbaigian. L’Armenia, occupando i territori dell’Azerbaigian, ha commesso una pulizia etnica contro più di un milione di azerbaigiani, che sono diventati rifugiati e profughi, ha distrutto tutti i monumenti storici azerbaigiani e ha cambiato la denominazione geografica dei luoghi sia nei territori dell’Azerbaigian, sia nel territorio dell’Armenia, da dove sono stati espulsi tutti gli azerbaigiani (circa 250 mila). Tutta la documentazione internazionale, incluse 4 risoluzioni ONU, che invocano il ritiro delle forze armate dell’Armenia dai territori occupati dell’Azerbaigian e il ritorno dei rifugiati e profughi azerbaigiani alle proprie terre, vengono ignorate da parte dell’Armenia, che continua a mantenere sotto occupazione militare alcuni territori dell’Azerbaigian, privando i rifugiati e profughi azerbaigiani del diritto fondamentale di ritorno alle proprie case.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontra l’Azerbaigian? Come affronta la crisi dei profughi azerbaigiani?
La maggiore difficoltà che affronta l’Azerbaigian è l’occupazione militare dei suoi territori da parte dell’Armenia e le conseguenze che ne derivano: da una parte più di un milione di azerbaigiani diventati rifugiati e profughi, privi della possibilità di tornare alle proprie terre natali e anche di visitare le tombe dei propri familiari, dall’altra le forze occupanti hanno distrutto deliberamente e burtalmente tutto il nostro patrimonio storico-culturale, hanno raso al suolo importanti città, centri culturali ed economici dell’Azerbaigian, come Agdam, definita oggi “la città fantasma” o “l’Hiroshima del Caucaso”. Gli azerbaigiani sono stati vittime dei crimini di guerra commessi dall’Armenia: per esempio, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992 a Khojaly sono stati uccisi brutalmente 613 civili azerbaigiani, il che ha rappresentato uno dei drammi peggiori della nostra epoca ed è chiamato “il genocido di Khojaly”. Tutto questo rimarrà come ferita aperta nella memoria del popolo azerbaigiano. Finché la giustizia non verrà garantita, questa ferita non guarirà. Per questo occorre che i territori sotto occupazione vengano liberati, gli autori di questi terribili atti vengano puniti e i profughi azerbaigiani tornino alle proprie terre.
All’indomani dell’indipendenza, nel pieno del conflitto del Nagorno Karabakh, l’emergenza dei profughi ha coinciso con una situazione economica difficile in Azerbaigian. Negli anni l’Azerbaigian ha beneficiato di una crescita economica importante e ai profughi sono stati garantiti diritti abitativi e altri vantaggi. Ciò nonostante il principale desiderio rimane il poter tornare a casa.
Esiste uno scontro culturale tra le due popolazioni? C’è davvero, come dite, una lobby armena che lavora contro l’Azerbaigian?
A differenza dell’Armenia, che è diventata un paese monoetnico, dove l’odio nei confronti di altre culture e identità fa parte della politica di stato, l’Azerbaigian attribuisce grande importanza alle questioni di multiculturalismo, tolleranza e inclusione. Nel cuore della capitale, Baku, c’è una chiesa armena, ristrutturata dal governo azerbaigiano e ora vi si preservano oltre cinque mila libri in armeno. L’Armenia intenzionalmente presenta questo conflitto dal punto di vista religioso, per spingere l’opinione pubblica del mondo cristiano a favore delle sue rivendicazioni territoriali contro il mio paese.
L’Armenia, per nascondere e mascherare la sua aggresione militare contro l’Azerbaigian e i crimini di guerra commessi contro civili azerbaigiani, usa la sua lobby in diversi paesi del mondo. La lobby armena diffonde informazioni fraudolente e false sull’Azerbaigian e sul conflitto del Nagorno-Karabakh, cercando di confondere e ingannare la comunità internazionale e di evitare una soluzione giusta del conflitto. Questa lobby, usando tutti i suoi mezzi, si sforza anche di impedire e oscurare le iniziative avanzate dall’Azerbaigian a livello internazionale, e ne abbiamo avuto un esempio anche recentemente, quando ha tentato di ostacolare l’organizzazione dell’ultima sessione dell’UNESCO a Baku, così come l’inserimento del centro storico della città azerbaigiana di Sheki nella lista dei Patrimoni dell’Umanità.
Nell’articolo apparso su Linkiesta avete riscontrato elementi riconducibili alla “propaganda armena”? Potrebbe indicare quali nel dettaglio?
In coincidenza con lo svolgimento dell’ultima sessione dell’UNESCO a Baku e l’inserimento del centro storico di Sheki nella lista UNESCO sono comparsi articoli con argomenti tipici della propaganda armena. L’articolo di Linkiesta nello specifico parla della presunta distruzione di resti armeni sul territorio azerbaigiano ma, come specificato prima, citando anche l’esempio della chiesa armena a Baku, ciò non è vero. È inconprensibile anche come, nell’articolo in oggetto, non sia stato dato nessuno spazio ai fatti sopramenzionati relativi alla distruzione del patimonio storico-culturale azerbaigiano da parte dell’Armenia, quando gli stessi sono noti in tutto il mondo.
E come ribattete?
Ribattiamo con il diritto internazionale, con i numerosi documenti e risoluzioni dei vari organismi internazionali addottati su questo conflitto, con i fatti storici e legali, con il modello di multiculturalismo che l’Azerbaigian propone al livello globale, e con la proficua e ampia collaborazione regionale e internazionale che portiamo avanti.
Nelle testimonianze ci sono video prodotti da membri dell’esercito iraniano che mostrano l’opera di distruzione di alcuni manufatti antichi nel territorio di Djulfa. Sono attendibili? E se no, perché?
Tali video sono un fake, come ribadito e confermato in ambito internazionale. È uno dei tentativi che l’Armenia ha fatto per screditarci, ma è stata smascherata.
Al momento come giudicate il lavoro dell’Unesco e il rapporto con l’Azerbaigian?
L’UNESCO è stata una delle prime organizzazioni internazionali a cui l’Azerbaigian ha preso parte all’indomani della riconquista della sua indipendenza. Uno dei primi passi volti ad espandere al cooperazione con l’UNESCO fu la creazione di una Commissione Nazionale della Repubblica dell’Azerbaigian per l’UNESCO e quest’anno festeggiamo il XXV anniversario di questa commissione. L’Azerbaigian ha dato vita ad una cooperazione estesa ed efficiente con l’UNESCO nel corso degli anni, toccando temi quali cultura, scienza e formazione, e divenendo anche uno stato donatore. Sono stati realizzati progetti nell’ambito della protezione del patrimonio culturale, promozione del dialogo interculturale, uguaglianza di genere e sviluppo dell’istruzione in Africa, Asia e America Latina. Tre elementi del patrimonio azerbaigiano sono inseriti nella lista dei beni materiali dell’UNESCO e 13 tra i beni immateriali. Proprio pochi giorni fa, nel corso della 43ma sessione dell’UNESCO svoltasi a Baku, il centro storico di Sheki con il palazzo del Khan è stato inserito nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
L’Azerbaigian è un partner ufficiale dell’Organizzazione nella promozione del dialogo interculturale. Il processo di Baku, avviato nel 2008 su iniziativa del Presidente dell’Azerbaigian, è diventato una piattaforma riconosciuta a livello globale per la promozione del dialogo interculturale. Come parte di questo processo, quest’anno l’Azerbaigian ha ospitato la quinta edizione del Forum mondiale di Baku sul dialogo interculturale, in cui l’UNESCO è stato un partner principale insieme ad altre organizzazioni internazionali competenti. Non è una coincidenza che il 7 ° Forum globale dell’Alleanza delle civiltà dell’ONU si sia tenuto anche in Azerbaigian nel 2016.
Apprezziamo il lavoro dell’UNESCO e nel corso degli anni abbiamo ratificato la maggior parte delle sue convenzioni; supportiamo il lavoro svolto in campi quali l’educazione delle ragazze, la salvaguardia del patrimonio materiale e immateriale, le nuove tecnologie, etc. Riteniamo importante che l’organizzazione abbia un ruolo più forte e possieda meccanismi operativi per la salvaguardia e il monitoraggio del patrimonio storico-culturale nelle zone colpite da guerre e nei territori sotto occupazione militare, come nel caso dei territori occupati dell’Azerbaigian, dove è molto utile e indispensabile organizzare missioni di monitoraggio dell’UNESCO che ancora non è stato possibile realizzare a causa dell’impedimento della parte armena.
Ma esiste una strada per la pace nel Caucaso? Un percorso che suggerirebbe?
Nonostante questo conflitto, l’Azerbaigian è diventato leader e forza trainanate di tutti i processi di sviluppo e cooperazione regionale. Oggi nessun progetto regionale può essere realizzato senza la partecipazione del mio paese. La pace è possibile, e deve passare, prima di tutto, dal ritiro delle forze armate dell’Armenia dai territori occupati dell’Azerbaigian, dopodiché potremmo avviare finalmente un percorso di riqualificazione dell’area sia della regione del Nagarono Karabakh, sia dei territori adiacenti, che verrebbe inserita nella fase di sviluppo e con il ritorno dei profughi azerbaigiani. Prima del conflitto, nel Nagorno Karabakh risiedevano abitanti di origine armena ed azerbaigiana, ma nei territori adiacenti abitavano solo azerbaigiani e l’esercito dell’Armenia ha espulso totalmente gli azerbaigiani da tutti questi territori. Solo dopo il ritorno degli azerbaigiani in questi territori, inclusa la regione del Nagorno Karabakh, si potrebbe considerare un’autonomia per la regione, sempre all’interno dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian, simile ai modelli presenti in Italia, come nel caso del Trentino Alto Adige. Questa è l’unica soluzione del conflitto accettabile, in corrispondenza ai numerosi documenti delle organizzazioni internazionali, il diritto internazionale, la Carta delle Nazioni Unite e l’Atto finale di Helsinki. Anche l’Armenia, attualmente isolata da tutti i progetti regionali, beneficerebbe della fine del conflitto, con una importante ricaduta sulla sua economia.