Sei anni fa un uomo è in bicicletta con la figlia – la figlia ha cinque anni, sono le cinque del mattino, la luce, viscosa, sembra essere prodotta dall’intensità della pedalata – i vampiri della notte, con bottiglie e deliri tra le mani, tornano agnelli sotto la grazia dell’alba. In una spiaggia riccionese, era il 2013, una fatale Notte Rosa, quell’uomo va ad ascoltare Michael Nyman che suona, all’alba. Porta la figlia, che ha un nome biblico, perché non può abbandonarla a casa, da sola – ma soprattutto perché quando era ancora più piccola si addormentava sulle note di quel pianista. Non importa la statura estetica di Nyman, in questo contesto. Tutto ciò che vale è esemplificato dalle note – sempre le stesse, fino all’ipnotismo, che incanta il tempo – di Lezioni di piano.
In originale, come si sa, Lezioni di piano è semplicemente The Piano. Il pianoforte in quel film dà e toglie la vita: non c’è alcuna ‘lezione’ impartita, ma una resa e una crudeltà. In quel film, il pianoforte è il Minotauro, il mostro, e tenta di trascinare la pianista negli abissi oceanici, legata alla corda-filo, a una ispirazione che uccide. Cosa c’è di più labirintico dell’Oceano, d’altronde, e che malia demonica sussurra il pianoforte, un oracolo.
Uscito nel 1993, The Piano consente a Jane Campion, 25 anni fa, di ottenere l’Oscar per la Migliore sceneggiatura originale. Vince anche le reticenze francesi, la Campion: è l’unica regista donna ad avere conquistato la Palma d’oro a Cannes.Sono un’anima semplice: i contrasti binari che agiscono in quel film (selvaggio/domestico; armonia/violenza; amore/morte), in quinta neozelandese, in quell’Ottocento di merlettate liturgie familiari e ambizioni al fuggiasco, mi smuovono. Secondo me The Piano è un capolavoro. In questi giorni è stato presentato rinnovato, esito di un restauro ad opera della Cineteca di Bologna.