Un programma ancora non c’è, ed è normale non ci sia, perché Giuseppe Conte, presidente del consiglio incaricato “con riserva”, incontrerà le forze politiche a partire da oggi stesso, per poi dedicarsi alla sua stesura. Però non bisogna essere degli esperti esegeti per trovare il senso politico del suo secondo governo, quello che segna il più clamoroso dei cambi di maggioranza, da Lega-Cinque Stelle a Pd-Cinque Stelle, nel giro di poche settimane.
Parla di un governo all’insegna delle novità, Giuseppe Conte, ed è chiaro che si riferisca soprattutto ai nomi. Non solo quelli dei Cinque Stelle, che presumibilmente vedranno cambiare la loro pattuglia di ministri e sottosegretari (ma non troppo), ma anche quelli del Pd, che difficilmente saranno i protagonisti della stagione renziana. Niente Toninelli, Lezzi, forse Trenta, Fraccaro e Bonisoli, e niente Padoan, Delrio, Minniti e Gentiloni. Il totonomi salva Di Maio, chissà dove, e Bonafede, fedelissimo del premier. Forse porte chiuse anche a Tria e Moavero Milanesi. Vita nuova, tecnici nuovi.
Anche nel programma sarà un governo all’insegna della novità. E le prime parole d’ordine sono molto diverse rispetto a quelle pronunciate in Parlamento un anno e qualche mese fa, all’atto della fiducia: «Mi ripropongo di creare una squadra di lavoro che si dedichi incessantemente a offrire un Paese migliore per i nostri figli – ha detto Conte. Nell’istruzione, nell’innovazione, nell’ambiente, nella protezione dei mari, nelle infrastrutture, nelle energie rinnovabili. Che tuteli il patrimonio artistico. Che rimuova le disuguaglianze territoriali e di genere. Che sia un modello di riferimento, a livello internazionale, nella protezione delle persone con disabilità. Che non lasci che le proprie energie giovanili si disperdano fuori dei confini nazionali, ma un Paese che sia anzi fortemente attraente per i giovani che risiedono all’estero. Che veda un Mezzogiorno finalmente rigoglioso di tutte le sue ricchezze umane, naturali, culturali. Un Paese nel quale la P.A. non sia permeabile alla corruzione e sia amica dei cittadini e delle imprese; con una giustizia più equa ed efficiente; dove le tasse le paghino tutti, ma proprio tutti, ma le paghino meno».
È quel che manca a far rumore. Manca l’emergenza migranti, manca la sicurezza, mancano pensioni, sussidi e povertà, manca la pace fiscale, manca l’autonomia
È quel che manca a far rumore. Manca l’emergenza migranti, manca la sicurezza, mancano pensioni, sussidi e povertà, manca la pace fiscale, manca l’autonomia. E sono differenze gigantesche, che scavano un solco profondissimo con il governo Conte Uno, quello del cambiamento, dominato dall’agenda di Matteo Salvini. Manca, soprattutto, lo scontro all’arma bianca con l’Europa che viene nominata semplicemente perché all’Italia deve recuperare “il ruolo da protagonista che merita”. Non lo dice Conte Bis, ma quel ruolo l’Italia l’ha perduto per colpa del governo di Conte Uno, delle liason coi Paesi di Visegrad e coi gilet gialli. Toccherà recuperare.
Nel discorso, ci sono invece espressioni come “rimozione delle disuguaglianze di ogni tipo”, “laicità dello Stato”, “libertà religiosa”, “multiculturalismo”. Tracciando una distanza netta dal «cuore immacolato di Maria», dal ddl Pillon e dal regolamento di Lodi. E facendo invece l’occhiolino allo ius soli, grande rimpianto del Pd della scorsa legislatura.
Non mancano ulteriori inchini: al Vaticano, con un breve accenno alla promozione della libertà religiosa, pur nel quadro della laicità dello Stato. E alla Casa Bianca, con la netta affermazione della collocazione euro-atlantica del nostro Paese (bacioni a Putin, bacioni Cina). Coerenza e regole sono altre parole chiave del discorso di Conte. E anche in questo caso, ogni riferimento agli strappi istituzionali di Salvini – in Italia e in Europa – non è puramente casuale. Pure quelle di Maastricht sono regole, no? Pure quelle del diritto internazionale marittimo, no?
Ciliegina sulla torta: da nessuna parte si parla di elezioni, di scadenze, di ritorno alle urne, di contratti. Questo è un governo nato per restare, sostenuto da una maggioranza politica, con una forte connotazione di centro-sinistra che Conte può solo dissimulare coi «principi non negoziabili, che non conoscono distinzione di colore politico». La barca è salpata. Porti chiusi non ne dovrebbe incontrare.