Integrazione“Noi rom siamo considerati i nuovi neri”, la battaglia contro i pregiudizi di Igor Stojanovic

Figlio di un ingegnere, mediatore culturale - «Mi occupo di tutti i migranti, non solo di rom» - e membro del Network Italiano dei Leader per l’Inclusione, Igor Stojanovic sfata alcuni pregiudizi sui rom, a partire da quanti di loro vivono nei campi

Nuove radici

Igor Stojanovic, 38 anni, bosniaco nato in Serbia, in Italia da quando aveva 6 anni, vive a Pinerolo vicino a Torino, mediatore culturale, fa parte del NILI (il Network Italiano dei Leader per l’Inclusione), rom ed orgoglioso di esserlo: «Hanno fatto diventare brutta una parola bellissima come zingaro. Viene dalla cultura greca, vuol dire intoccabile ma in senso positivo. Nessuno poteva fare male ai rom».

Come mai lei e la sua famiglia siete venuti in Italia?
«Per motivi di lavoro. Veniamo da Kragujevac, la città dove c’era lo stabilimento della Fiat, mio padre è ingegnere, è riuscito a studiare. Non siamo profughi, siamo venuti qui prima della guerra nella ex Jugoslavia».

È cittadino italiano?
«Non ho mai voluto chiedere la cittadinanza. Continuo a rinnovare il permesso di soggiorno. Sono molto attaccato alla mia terra. Non voglio perdere le mie origini con un doppio passaporto. Alla fine è solo una piccola disobbedienza civile».

Però 32 anni della sua vita li ha passati in Italia…
«Mia moglie è italiana e le mie due figlie di 13 e 12 anni sono nate qui. Ma di questi tempi è più difficile sentirsi italiano. Un problema comune a tutti i Paesi dell’area di Visegrád, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia».

Anni fa era diverso? Da bambino a scuola…
«Abitavamo alle Vallette a Torino. A scuola eravamo tanti rom. Ma tra bambini non c’era differenza. Gli insegnanti facevano di tutto per creare un clima multiculturale. Anche i non rom partecipavano alle nostre feste».

È diverso oggi, ad esempio per le sue figlie?
«La più piccola la prima volta che è stata chiamata zingara in senso spregiativo c’è rimasta male. Sarà stato qualche genitore ad insegnarlo ai figli. Ne abbiamo dovuto parlare a casa. Non gli piace sentirsi discriminate».

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