Hal Varian è un economista di chiarissima fama che ha insegnato all’Università della California, a Berkeley (dove ha fondato la Scuola di Informazione), e prima ancora al MIT, Stanford, Oxford e anche all’Università di Siena, negli anni Novanta. Mentre i soldi pesanti li ha guadagnati come capo economista di Google, dove è super consulente dal 2002. E siccome piove sempre sul bagnato, ha pubblicato anche libri importanti e di grande successo: Information Rules: A Strategic Guide to the Network Economy (con Carl Shapiro, 1998); Microeconomic Analysis, nel 2010; Intermediate Microeconomics: A Modern Approach, nel 2014. Ma vale la pena citarlo anche per le sue considerazioni sul mondo di domani e sulle relative trasformazioni delle sfere lavorative, che potete trovare anche qui (in inglese): http://citris-uc.org/wp-content/ uploads/2018/02/Bots-v-Tots_HalVarian.pdf
Varian, anche in poche righe, dimostra di non essere l’ultimo dei «cioccapiatti». E sostiene, in buona sostanza, che le macchine – intese come sviluppo tecnologico e automazione sempre più radicale – porteranno via tanti compiti specifici ma in generale non elimineranno i lavori perché essi, singolarmente, sono troppo complessi e variegati per scomparire del tutto. E difatti, dalla sua ricerca, traspare che l’unico lavoro realmente sparito negli ultimi cinquant’anni è quello dell’operatore di ascensore, il ragazzo che compare in molti film, l’elevator boy.
Da un lato funziona così perché se anche possono essere sostituiti alcuni lavori a livello tecnico ciò non risulterebbe economico e d’altro canto l’uomo ha dalla sua un incredibile asso nella manica: è l’essere più versatile di questo pianeta. Però, ugualmente, bisogna fare attenzione. L’ambito del lavoro sostanzialmente si divide in manuale o cognitivo – o più in soldoni, di concetto – e in ripetitivo o originale. E, nel dettaglio, abilità cognitive o manuali, cervello contro muscoli, si differenziano in occupazioni cognitive (professioni specializzate) e manuali (assistenza o cura degli altri) non di routine, cioè originali; e cognitive (vendita e occupazioni generiche in ufficio) e manuali (costruzione, trasporto, produzione e riparazione) di routine.
E nell’ambito del lavoro, a livello macro, crescono esponenzialmente sia quelli cognitivi-originali che quelli manuali-originali. Mentre sono in calo a causa dello sviluppo tecnologico quelli ripetitivi, manuali o cognitivi che siano. E, di fatto, utilizzo lo studio di uno scienziato del livello di Hal Varian per dare valore a quello che diciamo da anni: fate gli ingegneri oppure gli artigiani!
Inoltre è da prendere in considerazione un aspetto non secondario di carattere socio-economico che caratterizza il mondo occidentale degli ultimi cinquant’anni, con conseguenze per i prossimi decenni: i «baby boomer» – i nati tra 1945 e 1964 tra Europa e Nord America che hanno fatto registrare un sensibile aumento demografico occidentale, conosciuto, appunto, come «baby boom» – andranno in pensione, con relativi costi e assistenze varie. E anche se calerà la domanda di lavoro, l’uscita dalla scena lavorativa dei baby boomer compenserà la situazione e, anzi, per Varian, il calo dell’offerta sarà leggermente superiore al calo della domanda. Quindi, pare che ancora una volta il futuro possa essere immaginato migliore del presente. Ma ancora non possiamo abbassare la guardia.
La rivoluzione industriale ha ammazzato i lavori manuali ripetitivi, quella dell’Intelligenza Artificiale eliminerà i «lavori cognitivi ripetitivi» ma non quelli originali
Sempre Varian propone un interessante parallelo con esempi che ripercorrono il passato e arrivano fino al 1830, quando l’automazione era rappresentata dalle macchine a vapore. Come la rivoluzione industriale ha ammazzato i lavori manuali ripetitivi, la rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale eliminerà i «lavori cognitivi ripetitivi» ma non quelli originali. Perciò STEM dalla parte dei cognitivi e artigiani per i lavori manuali hanno il culo parato per i prossimi decenni.
Anche su un altro aspetto mi sento fiducioso verso il futuro, perché come la natura fa da milioni di anni, la società umana sembra quasi auto-equilibrarsi. Nel senso che se sale l’automatizzazione e cala la domanda di lavoro, calano anche i bambini e quindi c’è comunque una sorta di compensazione. Ci sono poi dei corollari a questo scenario che producono dei risvolti positivi, malgrado tutto, come la diffusa ricchezza dell’Occidente e la relativa diffusione del lavoro part time, soprattutto tra le donne. E come l’invecchiamento della società e l’abbandono dei lavori più duri e meno remunerativi da parte degli occidentali che trova comunque nell’immigrazione extra- comunitaria una fonte alternativa di risorse umane.
In sintonia con tale trend è anche Maximiliano Dvorkin, economista della Federal Reserve Bank of St. Louis, che nel suo blog avverte che a lungo termine il mercato del lavoro negli Stati Uniti subirà importanti cambiamenti. Nella fattispecie, registra: il declino delle occupazioni di media abilità (soprattutto nel manifatturiero e nella produzione); e la crescita delle professioni specializzate sia di alto che di basso livello, dai manager all’assistenza o alla cura degli altri. Gli economisti che per questo fenomeno hanno coniato il termine di «polarizzazione del lavoro», generato soprattutto da automazione e delocalizzazione, dal momento che entrambe queste forze riducono la domanda di occupazioni di media abilità, che, in effetti, possono essere automatizzate più semplicemente come pure eseguite in Paesi stranieri dalla manodopera a costo più basso.
Mentre le occupazioni non di routine, sia cognitive sia manuali, sono in costante aumento da diversi decenni, i lavori di routine, a causa dell’automazione, soffrono di stagnazione e volatilità
Il quadro del futuro del lavoro è quindi piuttosto chiaro. Le occupazioni non di routine, sia cognitive che manuali, sono in costante aumento da diversi decenni. Le occupazioni di routine soffrono invece di stagnazione e volatilità durante il normale ciclo economico, soprattutto per la ciclicità delle industrie in cui queste occupazioni sono largamente impiegate. E i relativi tassi di disoccupazione confermano tale trend. Di conseguenza, poiché i processi di automazione e delocalizzazione – a vario titolo – continueranno inevitabilmente, è quasi certo che la diminuzione dei lavori di routine negli Stati Uniti – e nell’Occidente in genere – continuerà. Comprendere tutto ciò è lo sforzo che dobbiamo fare per garantire un futuro ai nostri figli.
Sembra banale? Forse, ma non lo è. E se è vero che la maggior parte dei lavori è più complicata di quanto pensiamo, non dovete illudervi. Perché se pensate che il vostro lavoro non possa correre tali rischi, sappiate che anche gli operatori di ascensori avevano altri compiti oltre al suo funzionamento, come la sicurezza e fornire risposte e servizi a clienti e residenti. Però con la loro eliminazione (degli ascensoristi), le attività secondarie sono state affidate ad altre mansioni o, appunto, automatizzate.
Da un lato, l’educazione – essere istruiti – è sempre utile ma non è detto, come sappiamo bene in Italia, che ciò possa concretamente aiutare a trovare una occupazione. Perché il modo migliore per acquisire competenze è farlo sul posto di lavoro. Semplicemente perché «specifico» è meglio. Dall’altro lato, focalizzandoci sugli Usa, ma da noi la situazione non è poi così diversa, le dieci occupazioni più diffuse sono: addetto alle vendite al dettaglio, cassiere, preparazione e servizio del cibo, impiegato d’ufficio, infermiera, servizi per la clientela, cameriere, operaio, assistente amministrativo e bidello. La maggior parte dei lavori sono nel settore dei servizi, che occupano l’80% dell’occupazione privata degli Usa. Di questi, tra cinque, dieci o vent’anni, quanti saranno minacciati dallo sviluppo tecnologico? Chi farà la fine dell’ascensorista? Attenzione, farci i conti è un nostro dovere!