La povertà è un male serio. Ma l’assenza di mobilità sociale è forse un male pure peggiore. Perché non solo si tratta di essere poveri, ma soprattutto di essere destinati a restarlo. Anche a Milano, medaglia d’oro delle città d’Italia, e in Lombardia, motore del Paese. Ad evidenziarlo è l’ultimo rapporto sulla povertà nella diocesi ambrosiana della Caritas, che ha raccolto i dati di chi si è rivolto ai suoi centri di ascolto tra Milano e le altre province lombarde.
Sebbene i risultati «non siano generalizzabili», come spiega Elisabetta Larovere, dell’Osservatorio Povertà e Risorse di Caritas, infatti, emergono trend interessanti, che molto dicono delle tipologie di poveri che abitano il capoluogo e dintorni. «Abbiamo incontrato circa 13.900 persone nel nostro campione, ma potenzialmente sono molti di più», specifica Larovere.
Chi sono dunque le persone in condizione di maggiore fragilità a Milano e nel resto della regione? In prevalenza si tratta di donne, di immigrati e generalmente di persone sole: circa la metà di chi si è presentato ai centri di ascolto Caritas, spiega la ricerca, non ha legami stabili. La disoccupazione, poi, costituisce un problema per la maggior parte delle persone: il 60,8% di chi si rivolge ai centri Caritas è senza lavoro da tempo. La fotografia, spiega l’esperta, «è rimasta stabile nel corso degli anni», con persone dalle caratteristiche simili riscontrate anche nei precedenti rapporti. La differenza, però, è che dal 2008 ad oggi è cambiata l’incidenza percentuale. In particolare, se dieci anni fa le donne erano il 70% dei bisognosi, oggi è aumentato il numero di uomini. E ci sono sempre più italiani tra coloro che chiedono assistenza: mentre prima erano il 24%, oggi sono il 37%. A fronte di ciò, c’è stata una diminuzione di immigrati irregolari, che nel tempo sono scesi da 13,3 punti percentuali al 5%: questo per via del cambio normativo che negli anni li aveva inseriti in percorsi di accoglienza specifici. Ora, però, l’abolizione degli Sprar attraverso i decreti sicurezza, di fatto ha lasciato molte persone scoperte dagli aiuti. «Caritas è subito stata sfavorevole, perché i decreti Salvini indeboliscono le tutele per le persone che vengono accolte», osserva Larovere. Vista poi l’abolizione della protezione umanitaria, «Caritas ambrosiana ha deciso di creare un progetto di accoglienza ad hoc in un percorso al di fuori dei canali istituzionali».
Sempre più la povertà è strettamente collegata a bassi tassi di scolarità. Tra gli uomini la percentuale di chi ha al massimo la licenza media arriva al 65%
Come dicevamo, però, gli immigrati irregolari costituiscono soltanto una parte delle tante persone che si rivolgono ai centri di ascolto. Per il 25,9%, si tratta di situazioni che si stanno cronicizzando, con caratteristiche di vulnerabilità molto accentuate, soprattutto tra i maschi italiani. Sempre più, poi, la povertà è strettamente collegata a bassi tassi di scolarità: basti dire che all’interno del campione c’è un 54% persone che non superano licenza media (tra gli uomini la percentuale di chi ha al massimo quel titolo arriva al 65%). «È il segno di un impoverimento culturale generale», spiega Larovere. In più, Caritas ha registrato come più della metà del campione si fosse già rivolta ai centri negli anni passati. I bisogni più impellenti si concentrano su occupazione e reddito, seguiti dalle problematiche abitative, quelle legate all’immigrazione e le questioni familiari. «Nel momento in cui si esce dal mercato del lavoro, molto difficile è riuscire a rientrarci», dice Larovere. Tra le richieste principali in termini di aiuto, spiccano quelle alimentari, di ascolto, di lavoro a tempo pieno, di vestiario e in generale di sussidi per le spese relative alla casa.
Al di là dei bisogni specifici, che sono articolati, però, la domanda centrale che bisognerebbe porsi, scrive Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana, è «come evitare che queste situazioni si cronicizzino? Quali atteggiamenti/strategie possono facilitare il coinvolgimento e l’attivazione delle persone?». La vera questione, infatti, è andare al di là della semplice distribuzione di alimenti (il “pacco viveri” che Caritas distribuisce è infatti prevalentemente uno strumento per entrare in contatto con le persone) per dedicarsi alla costruzione di progetti personalizzati, incoraggiando le persone a mettersi in gioco. «Spesso il lavoro è l’obiettivo finale, raggiungibile solo grazie a tappe intermedie di avvicinamento: le persone che si rivolgono al cda raramente hanno semplicemente bisogno di un lavoro, ma più spesso devono riavvicinarsi al mondo del lavoro, hanno bisogno di credere (o di tornare a credere) in sé e negli altri», spiega Gualzetti.
A questo proposito, Caritas si è attivata su più fronti, non soltanto quello della distribuzione alimentare, tramite le eccedenze donate dalle aziende, ma anche attraverso il rifugio per senzatetto di via Sammartini a Milano e il Fondo Famiglia Lavoro, che fra le altre cose di occupa di riqualificazione professionale e di inserimento in azienda tramite tirocini retribuiti. Rimane però il fatto che si tratta di situazioni spesso multiproblematiche, per cui il lavoro non è solo l’unico problema, senza contare che altrettanto frequentemente le difficoltà intaccano tutti i membri del nucleo familiare. Il lavoro di accompagnamento e sostegno prolungati nel tempo, dunque, si pone come fondamentale: pena l’assenza di una vera possibilità di riscatto capace di strappare gli “ultimi” al loro destino.