Elliot Beachman è a letto. Si sta facendo una sega. Sua madre urla: Lo so benissimo cosa stai facendo lì dentro, dacci un taglio, se arrivi di nuovo in ritardo ti sospendono – giacché a volte l’unico modo di sentirsi adulti è dire a un sedicenne che sai benissimo in che condizioni versano i suoi ormoni.
Elliot Beachman è a tavola, il padre gli chiede per chi voterà alle elezioni per il rappresentante d’istituto, lui biascica che non gliene importa niente, sta pensando a un nuovo videogioco, ma gli tocca distrarsi: un’altra erezione.
Elliot Beachman arriva a scuola, e una tizia lo tampina per spiegargli quanto tengano al suo voto, il suo voto è importante, lui è importante, lui neanche si toglie le cuffie per ascoltarla, ma quella tira dritto con la campagna elettorale, lui intanto guarda le cosce delle ragazze che passano, la vita è difficilissima quando hai sedici anni.
Elliot Beachman è chiuso in un gabinetto della scuola, se devo spiegarvi cosa sta facendo significa che non siete stati attenti finora. Mentre è lì che se lo mena, origlia l’arrivo nella zona lavandini d’un candidato a rappresentante d’istituto. Non è quello per cui l’avevano tampinato prima, è uno che bracca un ragazzino gay di cui sa come conquistare il voto: Hai visto Hamilton? Anch’io, tre volte. Al ragazzino non viene mica in mente che quello abbia guardato la sua bacheca Facebook e sappia con che millanterie farlo sentire compreso. È un sedicenne normale, mica uno che sta facendo campagna elettorale. Esce il gay (Elliot è sempre chiuso in uno dei cessi) ed entra uno dello staff del candidato. Dice al candidato che il prossimo da irretire è un tal Elliot Beachman: «Uno sfigato, se non ci servisse il suo voto potrebbe morire domani».
Se i primi cinque minuti della quinta puntata di The Politician fossero stati prodotti in Italia, sarebbe ovvio considerarli un editoriale sul tema del voto ai sedicenni
Se i primi cinque minuti della quinta puntata di The Politician fossero stati prodotti in Italia, sarebbe ovvio considerarli un editoriale sul tema del voto ai sedicenni. Poiché invece li ha scritti il marito di Gwyneth Paltrow, assieme al suo socio, un tizio cui Netflix ha dato 300 milioni di dollari perché qualunque idea gli venga d’ora in poi la realizzi sulla loro piattaforma, allora ci si è concentrati sull’università.
Fino alla quinta puntata, in The Politician non s’è visto un sedicenne normale. Il protagonista ambisce a diventare presidente degli Stati Uniti, cominciando da rappresentante d’istituto, e quando Harvard gli offre di pagare per essere ammesso a studiare lì spiega che lui diventerà presidente comunque: vogliono forse che quando accadrà racconti la storia di come non lo fecero entrare onestamente a Harvard? I compagni di scuola che gli fanno da staff sono altrettanto determinati, nonché vestiti come i Tenenbaum. Quando arriva Elliot, con la sua camicia di flanella, la sua acne, la sua inerzia esistenziale, quasi t’eri dimenticata di come sono i sedicenni. Non le eccezioni che pensano al futuro del pianeta, non gli ambiziosi che a sedici anni programmano la carriera che avranno a quaranta: quelli normali, il cui eventuale interesse per la politica è dato da una voce di corridoio che dice che a fare gli engagé si rimorchia.
Uno dei più recenti scandali americani è quello intorno ai soldi per entrare all’università. Alcuni genitori sono stati abbastanza allocchi da dare dei soldi a un tizio perché truccasse i voti ricevuti dai loro piccoli asini agli esami d’ammissione
L’università, dicevo. Uno dei più recenti scandali americani è quello intorno ai soldi per entrare all’università. Alcuni genitori sono stati abbastanza allocchi da non finanziare un nuovo laboratorio di ricerca o nuove aule acciocché la prole sia ammessa alle università più prestigiose, come i ricchi han sempre fatto, ma da dare dei soldi a un tizio perché truccasse i voti ricevuti dai loro piccoli asini agli esami d’ammissione. Per questo grave caso d’appartenenza alla casta, Felicity Huffman (già casalinga disperata nella serie televisiva) sta per farsi quindici giorni di galera. Chissà le figlie che vergogna, chissà se somigliano più a Payton – il protagonista ambizioso della serie – o a Elliot, delegato a rappresentare realisticamente la più autoreferenziale delle età.
Quando è arrivato The Politician, scritto e girato prima dello scandalo, e con dentro una Gwyneth Paltrow madre premurosa che non capisce perché il figlio aspirante presidente, Payton, non si lasci comprare l’ammissione ad Harvard come i suoi fratelli, alla stampa americana non è parso vero. Si sono concentrati su quello; a ognuno i suoi riferimenti d’attualità: loro mica hanno il dibattito sul voto ai sedicenni, una categoria che non potrà bere alcolici per i successivi cinque anni. Però il sedicenne americano, quello che non può ordinare una vodka alla pesca, può guidare la macchina: se sai dare la precedenza su una rotonda, sei qualificato a scegliere chi ti governa? Ma, soprattutto, se ti danno il diritto di voto, riusciranno poi a farti uscire dal gabinetto per votare?
Ad accomunare i due paesi, c’è lo zelo dei candidati nel corteggiare i sedicenni. Se la sua avversaria promette un concerto di Drake alla festa di fine anno scolastico, Payton va da Elliot a chiedergli come può migliorare il suo futuro. Cessi separati che si chiudano a chiave senza che nessuno possa bussare e interromperti, è l’ovvia risposta; e prezzi calmierati per gli M&M’s nelle macchinette. Spoiler: alla fine Elliot non vota. Sua sorella Chippy sì, perché in ogni famiglia normale c’è un’adolescente politicamente impegnata. Chippy ha visto un documentario su Netflix ed è diventata vegana. Quindi sulla scheda ha scritto il nome di Daniel Andreas San Diego, che cominciò la sua militanza animalista producendo marshmallow vegani, è finito a mettere bombe, ed è attualmente ricercato dall’Fbi. La madre le fa notare che Daniel non studia nella sua scuola, perché a volte l’unico modo di sentirsi adulti è dire a un’adolescente che il suo beniamino non può essere eletto per un cavillo: il mondo degli adulti è crudele.