Tratto dall’Accademia della Crusca
In italiano standard questi due verbi sono portatori di due distinti significati. Riferendoci al Sabatini-Coletti, s.v., il verbo transitivo insegnare, che richiede l’oggetto diretto della cosa insegnata e l’oggetto indiretto della persona cui si insegna, indica l’atto di “fornire nozioni teoriche o elementi pratici a qlcu., in modo che apprenda qlco.”: Il prof. Bianchi insegna la storia romana ai suoi alunni; in luogo dell’oggetto diretto possiamo trovare una frase infinitiva introdotta da a: L’istruttore ci insegna a nuotare. Sinonimi di insegnare sono istruire, addestrare.
Il verbo imparare, invece, indica l’atto di “acquisire conoscenze o capacità attraverso lo studio, l’esercizio, l’applicazione”; anch’esso è transitivo, richiede cioè l’oggetto diretto della cosa che si impara, e, in aggiunta, il complemento di origine che rappresenta la cosa o la persona da cui si impara: Maria sta imparando il cinese da Alessandro; Imparai molto dalla nostra collaborazione. In luogo dell’oggetto diretto, anche in questo caso, possiamo avere un’infinitiva introdotta da a: Ho imparato a stirare le camicie. Sinonimo di imparare è apprendere.
Sempre il Sabatini-Coletti registra l’uso regionale centro-meridionale (che trova riscontro in moltissimi dialetti, tra cui il napoletano e il romanesco, che usa insegnà(re) nel senso di ‘indicare’) del verbo imparare con il valore di “insegnare qlco. a qlcu., specialmente con il primo argomento espresso da frase (introdotto da a): ha imparato a scrivere al figlio”.
Questa accezione del verbo imparare è attestata anche in testi letterari, a partire dal secolo XVI:
Se il canuto del tempo, che più di quindici lustri gli è suto maestro, non gli ha imparato tal cosa, uno indocile si può chiamare discepolo (Pietro Aretino, Lettere);
Dubito che abbia potuto trovarsi nella lingua tedesca tutto intero quel poetico che le regole non insegnano e gli studi non imparano (Pietro Giordani, Volgarizzamento di un discorso della baronessa di Staël: Sulla maniera e la utilità delle traduzioni, 1816);
Essa la diva / con le dita d’ambrosia, essa da gli occhi / tergea de la mortal giovine il pianto; / e dolce un canto le imparava (Giosue Carducci, Juvenilia, LXVII, Maggio e Novembre, vv. 37-40);
Quello là vuol far l’offeso eh? Adesso glielo imparo io: non gli telefono per almeno un mese (Dino Buzzati, Un amore, 1963).
Nonostante queste attestazioni, raccomandiamo ai nostri lettori di evitare quest’uso, oggi considerato improprio, ristretto alle varietà regionali e popolari, e di attenersi alla norma.
Pienamente accettabile (e vitale nell’italiano contemporaneo) è invece la costruzione causativa far imparare come sinonimo di insegnare; si veda questo contesto:
Fra gli obblighi innumerevoli, oltre alla naturale simpatia che mi legano al mio Michelotti con una catena d’oro massiccio, non è il minore quello d’avermi fatto imparare a scrivere toscanamente e con ogni possibile correttezza (Giuseppe Baretti, Lettere familiari, XLVII, 1839).
Quello là vuol far l’offeso eh? Adesso glielo imparo io: non gli telefono per almeno un mese
La questione sollevata, tuttavia, merita di essere ulteriormente approfondita, osservando anche quanto avviene nelle lingue europee antiche e moderne; potremo così anche tentare di fornire una spiegazione sull’impiego di imparare come sinonimo di insegnare. Partiamo sempre dalla nostra lingua. I due verbi fanno parte della famiglia dei verbi riguardanti l’apprendimento, i più comuni dei quali sono, da un lato, insegnare e istruire, dall’altro, imparare e apprendere.
La prima coppia fa riferimento all’azione di colui che fornisce la conoscenza, sottolineando il ruolo formatore/formativo: il verbo insegnare, che in italiano compare a partire dal secolo XIII, deriva dal lat. tardo insignāre, ‘imprimere un segno’; istruire, deriva dal lat. in-struĕre, ‘costruire dentro’. Entrambi i verbi alludono alla grande missione dell’insegnante: forgiare l’animo dei ragazzi a lui affidati, imprimendovi un segno, costruendoli per la vita.
La seconda coppia si riferisce al discente, che apprende le conoscenze elargite dall’insegnante o derivanti dalle esperienze di vita. Il verbo imparare deriva dal lat. *imparāre (composto dal prefisso con valore rafforzativo in- e parāre, ‘procurarsi, acquistarsi’), e allude al fatto che con tale azione il discepolo acquista per sé la conoscenza; apprendere, introdotto nella prima metà del secolo XIII, deriva dal lat. ad-prehendĕre, ‘afferrare’, e sottolinea come chi impara afferri le conoscenze fornitegli.
Le due coppie di verbi illustrate dimostrano come le due azioni dell’insegnare e dell’apprendere siano viste come distinte in italiano. Una tale distinzione era anche marcata dalle lingue classiche, il greco e il latino. Ci limiteremo a considerare i verbi di apprendimento e le loro costruzioni più frequenti.