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26 Novembre 2019

Fare la cosa giustaLa comune passione per l’Albania: in un libro il dialogo impossibile tra Alessandro Leogrande e Alexander Langer

Nadia Terranova

A due anni dalla morte dello scrittore e giornalista tarantino, un’edizione celebra il suo legame ideale e intellettuale con l’attivista altoatesino: entrambi uniti dall’amore per una terra appena al di là del mare ma ancora poco decifrata

fotogramma da YouTube

Nel giorno in cui ricorre il secondo anniversario della morte di Alessandro Leogrande, le edizioni Alpha Beta pubblicano un saggio, curato da Giovanni Accardo e prefato da Goffredo Fofi, intitolato Dialogo sull’Albania, un’antologia di testi di Leogrande e Alex Langer, due intellettuali che da epoche e prospettive diverse, ma con la stessa insistenza e la stessa passione, si sono occupati dei fatti culturali e politici oltre l’Adriatico. E da qualche parte, vedendo accostato il suo nome a quello di Langer, oggi Alessandro Leogrande sorride.

Nel corso del troppo breve passaggio terreno di entrambi quell’incontro non era mai avvenuto, ma i libri sanno essere anche questo: riparazione. La puntualità di questa imprescindibile antologia offre la possibilità di mandare in scena almeno i preludi di un incontro che sogniamo come grandioso, imprevedibile, potendolo immaginare fino a un certo punto: chissà che scintille impreviste e incendiarie avrebbe fatto davvero, quella conversazione fra Alex, il “viaggiatore leggero”, e Alessandro, che attraversava frontiere, uniti dalle iniziali e dalle assonanze nei nomi, dallo stesso rigore nello studio, dall’inflessibilità e dall’apertura al dialogo nella lotta, dall’ossessione per la vita degli altri e dalla necessità di prenderla in carico nella difesa politica e nel racconto letterario.

Alex Langer era morto nel 1995, quando Leogrande aveva diciotto anni, e prima di suicidarsi aveva scritto: «I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Continuate in ciò che è giusto». Quelle righe erano diventate la guida del ragazzo di Taranto che già al liceo scriveva su riviste nazionali e che pochi anni dopo, trasferitosi a Roma per studiare filosofia, si sarebbe formato alla scuola di Goffredo Fofi; le ripeteva spesso, con la consuetudine dell’amarezza, e adesso che è morto sappiamo ancora di più quanto le sentisse sulla sua pelle: Alessandro, con il suo lavoro a fianco degli ultimi della terra, stava davvero continuando in ciò che era giusto.

Quel nucleo originario di conflitti e identità multiple che per Langer è costituito da Bolzano e dall’Alto Adige, per Leogrande è fatto di Taranto e della Puglia, per tutti e due cominciava dall’Albania

Lo ricorda Fofi nell’introduzione: «Di Alex parlammo molto spesso e in Alex Alessandro seppe riconoscersi, nel suo equilibrato, controllato intreccio di teoria e pratica, di lucidità analitica e di passione politica». Mentre Leogrande così definiva Langer: «Per tutta la vita non ha fatto altro che saltare muri, attraversare confini culturali, nazionali, etnici, religiosi». Lo stesso avrebbe potuto dire di sé stesso.

Giustamente ricorda Giovanni Accardo che la scrittura di Leogrande «è una scrittura politica che nasce dall’attenzione costante alla polis, intesa come comunità locale, ma anche nazionale o internazionale», e pure questa definizione è valida per entrambi: quel nucleo originario di conflitti e identità multiple che per Langer è costituito da Bolzano e dall’Alto Adige, per Leogrande è fatto di Taranto e della Puglia – e, fuori da lì, il mondo era infinito nello sguardo di tutti e due (uno degli scritti di Leogrande qui antologizzati offre uno sguardo su Eritrea, Albania e Italia a partire dal 1991), e per tutti e due cominciava dall’Albania.

Langer c’era stato in missione nel dicembre 1990, durante le manifestazioni di protesta contro il presidente Ramiz Alia, ed era stato a lungo a fianco degli studenti; a partire dal 1992 l’adolescente Leogrande cominciò a recarvisi frequentemente, a fianco del padre Stefano, direttore della Caritas, per svolgere campi di lavoro estivi in aiuto dei più disagiati e soprattutto in sostegno delle scuole.

Sia Langer che Leogrande documentarono su diverse testate tutto ciò che andavano scoprendo su quella terra, con reportage e riflessioni che incrinavano e ancora oggi incrinano la superficialità del nostro sguardo in favore di approfondimenti illuminanti e preziosi, e l’Albania, oggi, è la terza A che li lega: con passione Giovanni Accardo presenta questo suo lavoro di ricucitura. Una cucitura evidente e già esistente, nata dagli scritti di Langer che Leogrande aveva letto, alimentata dai riferimenti continui a Langer negli scritti di Leogrande fino a proporre, presso la sua editrice albanese Arlinda Dudaj, una selezione di articoli langeriani.

Nella lettera con cui proponeva il progetto, Alessandro era mosso dall’ammirazione per il suo maestro ideale (quando era stato in visita alla Fondazione Langer si era commosso) e per il Paese al quale era così legato. Per tutte le sue opere dedicate a un popolo che amava e conosceva nel profondo, dalla storia della Katër i Radës, la motevedetta partita da Valona e speronata in acque brindisine nel 1997 (una storia che ha raccontato in un bellissimo libro, Il naufragio, pubblicato da Feltrinelli, e in un’opera teatrale) alle ultime parole su Langer, uscite su pagina99 nel luglio del 2016 (L’eredità di Langer schierata sul Brennero), Leogrande è oggi lo scrittore italiano che con più assiduità, profondità e dedizione si è dedicato all’Albania: a Tirana e Taranto, le sue due città («Tra Taranto e Tirana ci sono duecento chilometri in linea d’aria», scriveva), due strade portano il suo nome. È lì, su quel ponte ideale tra due città accomunate anch’esse dalle iniziali, e unite da un mare così pieno di storia da essere una terra, illuminando appena il dolore ancora persistente della sua perdita, che in questo momento Alessandro Leogrande sorride.

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