Nello strepitoso romanzo inedito di Isaac Bashevis Singer, Il ciarlatano (ora uscito da Adelphi nella traduzione di Elena Loewenthal), il protagonista Hertz Minsker, ebreo polacco emigrato a New York per sfuggire al nazismo, è l’antieroe per eccellenza: un erudito nullafacente, sedicente filosofo e scrittore fallito, che conosce a memoria il Talmud e cita poesie in greco e in latino, sostiene di lavorare da quarant’anni a un libro fondamentale, ma la sua unica vera professione è quella del dongiovanni (non risparmia nemmeno la moglie del migliore amico). «C’era un limite al male? – si domanda a un certo punto, riflettendo sul suo stile di vita, non propriamente conforme alle sacre scritture. – Lui, Hertz, non era molto meglio di Hitler. Hitler era solo la somma di milioni di anonime canaglie come lui. Semplice aritmetica».
È una domanda che dovremmo porci anche oggi, mutatis mutandis, tutti quanti: pariolini e borgatari, antifa e cerchiobottisti, squali e sardine, giustizialisti e fan di Lara Comi. Quanto siamo migliori di Salvini? Per carità, il Capitano non è il Führer, anche se qualcosa in comune i due ce l’hanno, per esempio l’amore per gli animali. Diciamo che sono entrambi leader molto popolari e con un’inclinazione per i pieni poteri. Ma cosa sarebbe Salvini senza milioni di ”anonime canaglie” che lo votano o che pur senza votarlo o votandogli contro si comportano, nel quotidiano, più o meno come lui, se non peggio? Canaglie che guadagnano in nero, non emettono scontrini, non pagano le multe e le bollette, rubano lo stipendio o il reddito di cittadinanza, costruiscono villette abusive, comprano titoli tossici dalle banche venete e poi passano il tempo a lamentarsi dell’euro, degli immigrati e della legge Fornero?
Penso che un poeta come Davide dovrebbe dare più peso alle parole, che dopotutto sono la materia prima del suo lavoro. Pontida non è un posto da poeti
E cosa sarebbe, il Felpini, senza le vice-canaglie per niente anonime, ben esposte in tivù e sulle prime pagine, intellettuali e giornalisti che lo colmano di salamelecchi per le sue inarrivabili doti di statista? Ah, vuoi mettere l’empatia! I selfie! La fisicità! La territorialità! Il radicamento! E via slinguando e sdilinquendo. Ben più degni di rispetto sono quelli che si mettono direttamente, senza falsi pudori, al servizio della causa.
Quel Davide Rondoni che è salito sul palco del PalaDozza di Bologna citando Pasolini e Manzoni («Alla fine il sugo della storia lo capisce il popolo») è un bravo ragazzo di Cielle e un poeta colto. Arruolando uno così, la Lega ha tutto da guadagnare: dalle ronde padane al Rondoni nazionale, sai che salto di qualità. Ma lui? Che ci fa nel partito dell’odio uno che scrive libri sull’amore? È vero che Papeete Beach dista solo pochi chilometri dal Meeting di Rimini, ma tra gli insegnamenti di don Giussani non ci sono la chiusura dei porti e l’espulsione dei “negher”. O considerare normale che uomini in divisa ammazzino di botte un giovane tossicodipendente. Intervistato da Daria Gorodisky sul Corriere, Rondoni ha detto tra l’altro che “zingaraccia” non è «un’offesa alla razza, ammesso che si possa parlare di razza, ma a una persona: lo stesso dispregiativo che si usa nel dire ‘ragazzaccio’».
E a proposito delle barche dei migranti: «Credo che i buoni dell’ultimo miglio, quelli che si preoccupano di esibire bontà a un miglio dalla nostra costa senza pensare a quanto c’è prima, siano irresponsabili». Sarà. Personalmente preferisco i buoni dell’ultimo miglio ai cattivi dell’ultimo milione (di euro, in totale fanno 49). E penso che un poeta come Davide dovrebbe dare più peso alle parole, che dopotutto sono la materia prima del suo lavoro. Pontida non è un posto da poeti. A meno che avesse ragione Milan Kundera a scrivere (La vita è altrove): «Forse polizia e poesia vanno molto più d’accordo di quanto alcuni non pensino». Anche una felpa (della polizia) può ispirare versi sublimi.