La settimana del mondo della giustizia ci ha offerto ancora spunti di notevole interesse a partire sugli sviluppi della vicenda ex Ilva (ma non solo) su un tema cruciale per la democrazia: l’evidenza delle profonde ricadute economiche e sociali sulla politica del paese dei conflitti interni e delle diverse visioni ideologiche della Magistratura. Notizie contraddittorie si accavallano sull’ex Ilva: a un ottimismo improvvisamente ostentato dallo stato maggiore di Arcelor Mittal impegnato in riunioni col governo italiano fanno da contraltare inquietanti rumors sui fronti giudiziari di Milano e Taranto dove sono stati aperti in simultanea due distinti fascicoli con susseguente serie di accessi in fabbrica da parte della Polizia Giudiziaria (Guardia di Finanza per conto della procura meneghina, i Carabinieri del NOE per quella pugliese).
La lettura più inedita proviene da Paolo Mieli che in un editoriale di venerdì sul Corriere legge il simultaneo intervento delle due procure non come frutto di una concertazione bensì come una sorta di tutela che i PM di Milano hanno deciso di esercitare “al fine evidente di mettere ordine nel pasticcio combinato dai colleghi tarantini”.
Mentre Taranto ha iscritto nell’apposito registro un’ipotesi di reato, di cui la grande maggioranza dei giuristi italiani si era dimenticata (Distruzione di materie prime o di prodotti agricoli o industriali ovvero di mezzi di produzione) come conviene a un reperto della legislazione statalista fascista, Milano ha ipotizzato una serie di reati e di condotte pre-fallimentari, senza tuttavia che il presupposto necessario di tali reati, l’insolvenza aziendale, si sia manifestata. Secondo una suggestiva metafora di uno che se ne intende, Antonio Di Pietro, la Procura si è mossa come un frettoloso “becchino senza il funerale”. “Non vorrei che ci fosse un pregiudizio” ha chiosato con un’insospettata garantistica e maliziosa soavità. Un pregiudizio magari no, una certa idea del ruolo dei magistrati sì, e vediamo quale.
Paolo Mieli abbina evocativamente l’azione “preventiva” di Francesco Greco verso le iniziative assai controverse della procura di Franco Capristo e del neo aggiunto Maurizio Carbone che ha la delega sui reati ambientali a quella di moral suasion del presidente Sergio Mattarella sui sindacati.
Questa lettura di uno dei più raffinati e informati commentatori politici evidenzia bene uno degli aspetti che su questo giornale ci si è sforzati di evidenziare con una serie di articoli. Per molto tempo si è pensato alla magistratura come una corporazione compatta e chiusa nei propri privilegi. Da tempo non è così e internamente le divisioni politiche si sono accentuate.
Se la lettura di Mieli è corretta (entrambe le procure interessate hanno dichiarato di agire “di comune accordo”) la vicenda Ilva è una riprova.
La procura di Milano ha una sua vocazione che potremmo definire “di governo” laddove la magistratura tarantina nsembra contrassegnarsi per un profilo “di lotta”.
La procura di Milano ha una sua vocazione che potremmo definire “di governo” laddove la magistratura tarantina (va detto: non solo la procura, ma anche i giudici che come Gip sono intervenuti nei vari procedimenti) sembra contrassegnarsi per un profilo “di lotta”.
La prima si muove in un’evidente ottica di salvaguardia della azienda coi suoi riflessi economici sul paese, Taranto, ancorchè ipotizzi paradossalmente reati di stampo corporativo-statalista è concentrata sui profili di tutela dell’ambiente e della salute.
Non è un caso che uno dei punti cruciali della controversia sia la chiusura dell’altoforno 2 disposta da Taranto laddove i pm milanesi si sono costituiti a fianco dei commissari nella procedura d’urgenza per impedire il blocco delle attività disposto da Arcelor.Non va dimenticato che la Procura ambrosiana ha una tradizione di sensibilità in tal senso: sono note le polemiche e i contrasti interni che accompagnarono la politica di intervento giudiziario estremamente cauta del predecessore dell’attuale capo Francesco Greco, Edmondo Bruti Liberati, nei confronti dei lavori dell’Expo 2015. Di essi è emblematica la storia del conflitto col sostituto Alfredo Robledo raccontata da Riccardo Iacona con toni di indignazione etica in “Palazzo d’ingiustizia”. Sanzionato dal Csm e poi dimessosi, Robledo ha assunto la presidenza dell’impresa Sangalli, azienda che si occupa di servizi ambientali, in passato coinvolta in un’inchiesta per corruzione (“L’anno scorso ha ottenuto il rating massimo dall’Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, cioè tre stelle per la legalità”, spiega l’ex procuratore aggiunto). Bruti Liberati si è dedicato alla saggistica (ha scritto un’apprezzata storia della magistratura) e alle conferenze.
La differenza di indirizzi politici e l’interventismo del corpo giudiziario possono scandalizzare solo gli ipocriti: una collettività con profonde tradizioni e una spiccata vocazione intellettuale ha necessariamente trovato nel vuoto di iniziativa politica uno spazio di naturale espansione.
Il giudice legislatore e interventista esiste ed esiste non per una mera scelta di arbitrio ma perché c’è un potere, quello politico, che non funziona più e dunque una democrazia squilibrata
Del resto, su un altro versante, la Corte Costituzionale nella vicenda DJ Fabo ha riscritto radicalmente una noma del codice penale in tema di suicidio “assistito” dove, contrariamente a una certa vulgata non ha riconosciuto alcun diritto a disporre della propria e altrui vita, ma semplicemente una causa di non punibilità che disciplina introducendo un’autorità terza che garantisca la piena facoltà di scelta e le condizioni del soggetto incurabile. Anche qui una scelta estrema di giudici (sia pure di grado e ruolo particolari) come reazione a un legislatore inerte.
Tuttavia siamo ben oltre il limite dell’interpretazione tipica (a “rime baciate” o “additiva”), ma siamo nel campo di una legislazione “di complemento”. Il giudice legislatore e interventista esiste ed esiste non per una mera scelta di arbitrio ma perché c’è un potere, quello politico, che non funziona più e dunque una democrazia squilibrata per mancanza di contrappesi. Fino a che la magistratura saprà osservare l’interesse generale, forse gli effetti saranno controllabili e sopportabili ma che cosa accadrà se anche la giurisdizione dovesse perdere equilibrio e autonomia? E che cosa accadrà sedentro l’ordine giudiziario dovessero prevalere le spinte populiste cui è sensibile una parte dei suoi componenti neanche più minoritaria?
Non è un caso che Francesco Greco a Milano e il procuratore aggiunto di Taranto Maurizio Carbone che coordina le indagini sui reati ambientali (già segretario di una delle edizioni più aperturiste e moderate dell’Anm) provengano da un medesimo settore riformista come la corrente di Area. Ciò può garantire, pur nelle diverse spinte che animano le due procure, una sorta di prudente equilibrio.
Ma dopo? Va detto a tale proposito che il dibattuto “scudo penale”, ove anche reintrodotto, per l’ennesima volta non servirà a proteggere Arcelor dai reati per cui indagano le rispettive procure di cui una, quella Milanese, tra pochi mesi dovrà cambiare titolare.
Non solo, paradossalmente il varo della norma contestata avrà come sicuro effetto quello di un ennesimo ricorso alla Corte Costituzionale da parte della magistratura tarantina che non ha mai rinunciato a perseguire il disinnesco di una norma considerata offensiva di valori della Carta come la tutela della salute e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Anche la Consulta che sino ad oggi ha mantenuto una posizione di equilibrio tra diversi profili in ballo cambierà guida tra pochi mesi. E qui ci si può rendere conto di quanto grave sia la situazione se il toto nomine dei magistrati diviene cruciale come quello delle cariche di governo. Bisognerà chiedersi presto quali possano essere i necessari contrappesi: a partire dal ruolo di un soggetto sociale di circa duecentomila membri sempre poco considerato ma il cui ruolo può crescere ed è gia presente nel dialogo istituzionale. L’avvocatura italiana comincerà la prossima settimana una campagna di comunicazione in concomitanza con l’astensione dalle udienze penali su un tema fondamentale e politicamente divisivo quanto lo scudo penale: la prescrizione. A Dio ed al direttore piacendo se ne parlerà.