«Non ci interessa cosa dice Mittal, ci interessa cosa fa il governo». Si chiede soprattutto una mossa decisiva all’esecutivo giallorosso, tra i quasi cento lavoratori dell’Ilva arrivati da Taranto a Roma, in presidio sotto la pioggia davanti al ministero dello Sviluppo economico, mentre dentro va in scena lo scontro tra i sindacati e i vertici di ArcelorMittal. Poco più di due ore di vertice, alla presenza del ministro Stefano Patuanelli, finché nel tardo pomeriggio arriva la fumata nera. Con il governo in balìa della confusione, davanti alla conferma della decisione del colosso dell’acciaio franco-indiano di lasciare lo stabilimento siderurgico di Taranto. L’idea dell’esecutivo era quella di prendere ancora tempo e riconvocare l’azienda la prossima settimana a Palazzo Chigi, ma è difficile ora che la trattativa riparta. «Abbiamo deciso di andarcene, il recesso è in corso», fa sapere l’ad di ArcelorMittal Lucia Morselli. Con Patuanelli che a margine del vertice ancora ribatte: «Per noi il piano A, il piano B e il piano C è che Mittal rispetti l’impegno del piano industriale con la produzione di 6 milioni di tonnellate».
Nessun passo avanti, insomma. A più di una settimana dall’ultimatum di 48 ore lanciato dal premier Giuseppe Conte all’azienda franco-indiana, di ore ne sono passate molte di più. E il governo non ha messo nessuna offerta sul tavolo a Mittal. L’unica operazione che i giallorossi avrebbero potuto fare velocemente, ovvero l’introduzione dello scudo penale generale, si è persa tra i meandri degli scontri e delle tattiche interne all’esecutivo e non compare neanche più all’ordine del giorno. Intanto, Mittal intanto ha fatto le valigie. E ora la questione si è aggravata. L‘urgenza non è più convincere il colosso dell’acciaio a restare a Taranto senza esuberi, quanto quella di impedire lo spegnimento degli altoforni. L’unica strada ora per il governo rimane quella giudiziaria, riprendendo in mano gli stabilimenti quanto prima. Con l’ipotesi della nomina di un supercommissario esperto di siderurgia, sul modello appena seguito per Venezia.
Morselli, entrata al Mise a testa bassa senza rilasciare dichiarazioni, da dentro fa subito trapelare il clima di scontro frontale del vertice. L’azienda conferma le ragioni che hanno portato al recesso dell’accordo, con il cambio delle regole dell’intesa, tirando di nuovo fuori proprio la questione della cancellazione dello scudo penale – che avrebbe «rotto il concetto base del risanamento dell’ex Ilva». Uno dei nodi è l’area a caldo dell’altoforno 2: lavorarci «fino a qualche settimana non era un crimine ora lo è. Non è una cosa di poco conto», dice Morselli. «Abbiamo trovato condizioni diverse da quelle che ci aspettavamo… Ci era stato detto che tutto quello che era stato chiesto dalla magistratura come interventi di miglioramento era in corso, invece non era stato fatto niente… Noi siamo qui perché riteniamo che il contratto legalmente possa essere sciolto. Questo è quello che abbiamo chiesto e stiamo agendo in coerenza». Ribadendo così di avere le carte in regola per sciogliere il contratto, quando Patuanelli aveva aperto il vertice dicendo ad Arcelor di non avere alcun diritto di recesso.
L’unica operazione che il governo avrebbe potuto fare velocemente, ovvero l’introduzione dello scudo penale generale, si è persa tra i meandri degli scontri e delle tattiche interne all’esecutivo e non compare neanche più all’ordine del giorno
La distanza è incolmabile. In mattinata Patuanelli aveva pure accusato l’azienda di aver vietato le ispezioni dei commissari nello stabilimento. E soluzioni da tirar fuori dal cilindro all’orizzonte non se ne vedono. L’unica certezza è il calendario di spegnimento degli impianti di Taranto, dettato con dovizia di particolari da Mittal ai sindacati. E ribadito senza mezzi termini a poche ore dall’avvio del vertice, con una comunicazione al governo e alla prefettura di Taranto in cui l’azienda fa sapere che la retrocessione dei rami d’azienda sarà completata entro il 4 dicembre prossimo. Dopodiché Mittal non proseguirà il piano di spegnimento, ma spetterà all’amministrazione straordinaria farlo.
E ora è corsa contro il tempo, visto che dalla scorsa settimana Arcelor sta portando le bramme prodotte in stabilimento e gli ordini sono dirottati su altri siti. E soprattutto ha già fermato i rifornimenti dei minerali necessari a mantenere attivi gli altoforni. Che, una volta spenti, saranno difficili da riaccendere in tempi brevi, con l’aggiunta del rischio di emissioni inquinanti («Le operazioni tecniche necessarie alla sospensione potrebbero comportare fasi transitorie con possibili emissioni visibili e possibile accensione delle torce dello stabilimento siderurgico», scrive ArcelorMittal).
Messo all’angolo, l’unica carta che il governo dell’avvocato Conte può giocare per salvare i 10mila posti di Taranto più indotto, e l’intera siderurgia italiana, è quella legale. I commissari straordinari hanno depositato un ricorso “cautelare e d’urgenza” in base all’articolo 700 del codice di procedura civile, in cui chiedono ad ArcelorMittal il rispetto degli accordi poiché non sussistono, a loro dire, le condizioni per il recesso dal contratto d’affitto. E a dar mano forte al governo è intervenuta pure la procura di Milano con due iniziative legali. La prima è un’inchiesta esplorativa senza indagati né ipotesi di reato per verificare l’eventuale sussistenza di profili penalmente rilevanti. La seconda, di tipo civile, riguarda l’atto di citazione sul recesso dal contratto depositato da Mittal: i magistrati parlano di «un preminente interesse pubblico relativo alla difesa dei livelli occupazionali, alle necessita economico-produttive del Paese, agli obblighi del processo di risanamento ambientale».
Conte da Facebook plaude alle due iniziative della procura milanese e in una nota di palazzo Chigi promette che il governo «non lascerà che si possa deliberatamente perseguire lo spegnimento degli altiforni». ArcelorMittal, scrive, «si sta assumendo una grandissima responsabilità, in quanto tale decisione prefigura una chiara violazione degli impegni contrattuali e un grave danno all’economia nazionale. Di questo – conclude la nota – ne risponderà in sede giudiziaria sia per ciò che riguarda il risarcimento danni, sia per ciò che riguarda il procedimento d’urgenza».
Se lo spegnimento dovesse iniziare, sarebbe un danno enorme che allontanerebbe la possibilità di trovare un nuovo acquirente per uno stabilimento che dovrebbe poi ripartire da zero
I rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, entrati al Mise con i volti tesi, ne escono ancora peggio, davanti a quello che Carmelo Barbagallo aveva chiamato «il funerale dell’Ilva», con tanto di «vittime, carnefici e mandanti». «I lavoratori non permetteranno la chiusura», annuncia Maurizio Landini. «Ci sarà un’insubordinazione verso la proprietà», aggiunge Rocco Palombella, segretario generale della Uilm.
Ma i sindacati, Cisl in testa, provano ancora a fare pressione sul governo per ripristinare con urgenza la norma sullo scudo penale in modo da evitare alibi sul disimpegno dell‘azienda, sollecitando anche il presidente del Consiglio ad attivare un nuovo confronto negoziale tra governo, la famiglia Mittal e il sindacato. Anche perché, in questi giorni di attesa, il governo non ha trovato un piano B, tra l’ipotesi newco con Cdp e Fincantieri, e vaghi annunci di nazionalizzazioni. Con Conte che, prima del consiglio, in una lettera aveva addirittura invitato i ministri a «portare idee per l’Ilva di Taranto». Un invito che, a quanto, pare non è servito.
Dopo lo spegnimento di un altoforno, seguendo la procedura di «colatura della salamandra» (cioè della ghisa residua che resta sul fondo del forno), «ci voglio almeno sei mesi per fare ripartire l’impianto», avverte il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza dell’ex Ilva di Taranto, Vincenzo Vestita della Fiom. Le battaglie legali che Conte e colleghi hanno in mente necessitano tempi lunghi, che gli altoforni non possono rispettare. Se lo spegnimento dovesse iniziare, sarebbe un danno enorme, che allontanerebbe la possibilità di trovare un nuovo acquirente interessato a uno stabilimento che dovrebbe ripartire punto e a capo.