Il paradosso dei demagoghiLa crisi dei cinquestelle dimostra l’indivisibilità del populismo italiano

Per scaricare sul nemico esterno la responsabilità delle promesse mancate occorre che non ci sia all’interno, come c’è oggi, un’opposizione altrettanto anti istituzionale, pronta a rinfacciartele e a rilanciarle

Andreas SOLARO / AFP

Negli ultimi tempi sono state date diverse spiegazioni del declino elettorale e della crisi politica dei Cinque Stelle, che sostanzialmente girano tutte intorno allo stesso punto: quant’è difficile, per un movimento populista, passare dalla protesta alla proposta, cioè dall’opposizione al governo. Ma forse sarebbe più esatto dire: dall’antipolitica alla politica. In altre parole, avendo delegittimato, criminalizzato e dipinto come patologico tutto ciò che rappresenta la fisiologia della politica – compromessi, mediazioni, dialogo – è inevitabile che ogni giorno che passano al governo i cinquestelle siano costretti a rimangiarsi un pezzo di quello che hanno predicato fino al giorno prima.

Avendo delegittimato, criminalizzato e dipinto come patologico tutto ciò che rappresenta la fisiologia della politica è inevitabile che ogni giorno che passano al governo i cinquestelle siano costretti a rimangiarsi un pezzo di quello che hanno predicato fino al giorno prima

Resterebbe tuttavia una via di fuga, che i populisti di tutto il mondo hanno sempre percorso una volta giunti al potere: la costruzione del nemico esterno, responsabile di tutto ciò che non funziona. Qui però nasce il problema molto particolare, e almeno a mia conoscenza inedito, che il movimento fondato da Beppe Grillo si trova ad affrontare oggi, emerso con particolare evidenza nella discussione sul Meccanismo europeo di stabilità.

E il problema è che questo gioco di scaricare sul nemico esterno la responsabilità di tutte le sconfitte, e specialmente di tutte le promesse non realizzate, regge fino a quando non c’è all’interno, sui banchi dell’opposizione, un altro populismo, altrettanto agguerrito, pronto a rinfacciartele e a rilanciarle.

Se al governo ci fossero stati ancora i gialloverdi, è ragionevole ipotizzare che sulla questione del Mes, ad esempio, un’opposizione guidata dal Pd avrebbe attaccato l’esecutivo da posizioni europeiste. E la maggioranza avrebbe avuto buon gioco, quale che fosse poi il compromesso concretamente raggiunto, ad addebitarne tutti i difetti alla perfidia dell’Europa e al tradimento di un’opposizione antinazionale e schiava di Bruxelles. Un gioco che però i grillini oggi non possono fare, proprio perché all’opposizione c’è chi dice esattamente questo, e accusa loro di avere ceduto alle pressioni europee e di avere tradito l’interesse nazionale.

I Cinque Stelle, incalzati da posizioni ultrapopuliste, non possono fare né una cosa né l’altra, né gli europeisti né gli antieuropeisti, e finiscono così per rendere impossibile ogni soluzione ragionevole

Questa è la ragione per cui i Cinque Stelle, incalzati da posizioni ultrapopuliste, non possono fare né una cosa né l’altra, né gli europeisti né gli antieuropeisti, e finiscono così per rendere impossibile ogni soluzione ragionevole, a tutto danno del governo. E siccome del governo sono il principale partito, alla fine il conto lo pagano sempre loro, avvitandosi in una crisi apparentemente irreversibile. A dimostrazione del fatto che, contrariamente a quanto da molti a lungo sostenuto, il populismo italiano è uno. E indivisibile.

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