Urne chiuse, porti apertiSalvini è stato sconfitto, ma ci siamo dimenticati le ragioni per cui lo combattevamo

Dopo quattro giorni di attesa non motivata (se non dal voto), i naufraghi raccolti dalla Ocean Viking sono potuti sbarcare. In compenso, l’accordo Italia-Libia è rimasto com’era. E così i decreti sicurezza

Anne CHAON / AFP

Ieri mattina, intorno alle nove, dunque a circa quarantotto ore dalla fine delle operazioni di spoglio elettorale in Emilia-Romagna e Calabria, la Ocean Viking ha attraccato al molo San Cataldo di Taranto, avendo ottenuto questo porto sicuro – dopo quattro giorni di attesa – per sbarcare le 403 persone soccorse nel Mediterraneo, tra le quali, secondo quanto comunicato dalla prefettura, dodici donne incinte e 132 minori non accompagnati.

«Ci hanno messo quattro giorni per concedere un porto sicuro – ha commentato Matteo Salvini – e allora denuncio per sequestro di persona il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. È sequestro di persona solo quando sono coinvolto io?». A questa accusa, il Partito Democratico ha replicato che la Gregoretti, cioè la nave fermata a suo tempo da Salvini, era una nave militare italiana, mentre la Ocean Viking non lo è, e di conseguenza non può esserci nemmeno il reato.

Viene da chiedersi se dunque è questo che intende Nicola Zingaretti quando ripete che «Salvini è il più bravo a raccontare i problemi dell’Italia, ma non a risolverli». In effetti, se il problema è quello raccontato da Salvini, cioè tenere arbitrariamente in mare naufraghi appena soccorsi per pure ragioni di propaganda, bisogna riconoscere che il governo attuale lo ha risolto assai meglio, cioè senza rischiare di finire in galera, e con assai minore clamore.

Sempre ieri mattina, dall’articolo di Alessandra Ziniti su Repubblica, abbiamo anche appreso che l’accordo Italia-Libia sui migranti sarà prorogato senza nessuna delle modifiche che il governo aveva promesso. E questo perché, dicono dal Viminale, «con Tripoli è diventato difficile interloquire». Non è difficile crederlo. In compenso, la ministra Luciana Lamorgese ha dichiarato con evidente soddisfazione che «la nostra parte l’abbiamo fatta».

Ricapitoliamo brevemente la questione per i più distratti: a novembre una parte della maggioranza aveva chiesto di stracciare il memorandum d’intesa con la Libia, in base al quale finanziamo la guardia costiera locale e collaboriamo fraternamente con i suoi ufficiali affinché i migranti che tentano di fuggire da lì, a rischio della vita, siano prontamente rimandati indietro. Indietro, cioè esattamente nel posto in cui vengono uccisi, violentati e torturati atrocemente, cosa che sappiamo non per sentito dire, ma perché i loro stessi torturatori li filmano con i telefonini mentre li torturano per estorcere altro denaro ai loro famigliari.

La maggioranza, a novembre, non ha ritenuto che questa fosse una ragione sufficiente per interrompere la collaborazione e stracciare il memorandum, ma si è impegnata a modificarne radicalmente il contenuto (se il discorso vi suona familiare, è perché lo avete effettivamente già sentito, pari pari, per i decreti sicurezza, con analogo esito). Nel frattempo, l’unica significativa novità è un nuovo report dell’Onu, in cui si parla di un certo numero di atrocità su cui non c’è bisogno di soffermarsi (il rapporto, datato 15 gennaio 2020, riempie diciassette pagine e può essere scaricato qui). Limitiamoci a un estratto: «Migranti e rifugiati continuano a essere soggetti a detenzione arbitraria e tortura in centri di detenzione ufficiali e non ufficiali. Violenza sessuale, sequestro a scopo di riscatto, estorsione, lavori forzati ed esecuzioni arbitrarie sono ampiamente diffusi. Gli autori di tali violenze includono funzionari governativi, membri di gruppi armati, contrabbandieri…».

Questi sono i fatti. E i pochi che fino a oggi si sono ostinati a ricordarli sono stati accusati di sabotare il governo, cercare visibilità e alimentare polemiche strumentali allo scopo di «piantare bandierine», secondo l’ultimo, orrendo modo di dire invalso nel dibattito politico. Tanto più in prossimità del decisivo voto in Emilia-Romagna. D’altra parte, quand’è che non c’è un voto decisivo, in Italia? E se prima si rischiava di passare per sabotatori, adesso non è certo un momento migliore, proprio mentre si celebra la grande vittoria della sinistra contro il populismo e l’intolleranza, contro la politica dell’odio e della paura, in nome dei valori di solidarietà, rispetto, accoglienza. È evidente che non è il momento adatto. A insistere, si corre il rischio di essere trattati da guastafeste. E si finisce attanagliati dal sospetto di avere anche sbagliato festa.

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