C’è una nuova Dea nell’Olimpo calcistica. E una anche nel Gotha dei club più realizzati in termini finanziari. L’Atalanta gioca bene, vince e incassa: con quella strategia cinica e pragmatica capace di fomentare i sogni del tifoso e i calcoli di una dirigenza che da molto tempo a questa parte difficilmente sbaglia un colpo. Non è un caso se la campagna abbonamenti 2019-2020 della squadra bergamasca è stata denominata «Qui si fa la storia»: i ragazzi di Gasperini sono quarti in campionato a 6 punti dalla Roma in quinta posizione e, grazie alla vittoria di mercoledì sul Valencia per 4 a 1, possono considerare quasi ipotecato l’accesso ai quarti di finale della Uefa Champions League.
Un cammino virtuoso e ricolmo di speranze, che accende i riflettori su una realtà estranea alle dinamiche tradizionali dello sport business e fautrice di un approccio radicale sia nella gestione dei suoi atleti sia nella filosofia di costruzione dell’economia aziendale. Fuori dal campo, i nerazzurri hanno di fatto chiuso il terzo bilancio consecutivo in utile: nell’esercizio licenziato a fine 2018, il club ha fatto registrare un risultato netto positivo per 24,4 milioni di euro. Nel dettaglio, l’Atalanta ha avuto ricavi per 155 milioni di euro, in crescita dai 147 milioni del 2017. Il segreto? L’unione di grandi risultati, con la finale di Coppa Italia e l’inattesa qualificazione in Champions League, alla crescita economico-finanziaria che, nel giro di cinque anni, dal 2014 al 2018, ha visto il fatturato della Dea raddoppiato.
Insomma, il mix di sfrontatezza e coraggio ha premiato lo staff bergamasco, che grazie a un ricollocamento in crescita nelle gerarchia della Serie A può godersi le molti voci di bilancio che tendono ogni anno a gonfiarsi. Dai diritti televisivi in aumento – grazie ai piazzamenti in campionato e alla partecipazione alle coppe – ai ricavi da prestiti e cessioni, per finire con l’accessibilità ai pacchetti stagionali che la società offre al tifoso: nulla è lasciato al caso e ogni cosa porta in calce la firma di Giovanni Sartori, responsabile dell’area tecnica, Gian Piero Gasperini e ovviamente del presidente Antonio Percassi.
È dalla galassia dell’imprenditore bergamasco che l’Atalanta prende spunto per la sua costituzione: diversificare, scommettere su sfide che altri hanno perso, far crescere per poi vendere. E così come Percassi è a capo di un gruppo attivo nell’immobiliare, nella cosmetica e nell’alimentare, e ovviamente nello sport, il suo braccio destro Giovanni Sartori investe in giocatori (pseudo)giovani, sottovalutati, affermati ma mai sbocciati, stelle date per finite. Il risultato? Per il primo, non considerando il mondo del pallone, al 31 dicembre 2017 (ultimi dati disponibili) il gruppo controllato, l’Odissea Holding, aveva un patrimonio netto di oltre 360 milioni di euro, con ricavi in crescita a 805 milioni di euro, il settore food & beverage vale circa 6 milioni di ricavi e quello abbigliamento-accessori circa 100,5 milioni di euro.
Mentre Sartori, dal canto suo, si è “limitato” nell’ultimo anno a ottenere la crescita dei ricavi da prestiti (da 6 a 13 milioni, di cui 7,6 da Kessie e 2,5 da Cristante) e dagli altri ricavi legati alla gestione calciatori (32 milioni, di cui 15 milioni per la cessazione di Bastoni, altri 5 per la valorizzazione del giocatore, 3 milioni per Spinazzola e 3,5 per il rendimento di Gagliardini), incassare la partecipazione all’Europa League, valsa 6,1 milioni (8,8 nel 2017), le sponsorizzazioni 14,9 milioni e i diritti tv 47,7 milioni. Niente male, se si conta anche il fatto che, secondo l’osservatorio sul calcio Cies, la rosa dell’Atalanta, una rosa da Champions, è costata appena 93 milioni. Per dire, la Sampdoria ha speso 150 milioni di euro per i cartellini della squadra attuale, la Juve 719 milioni, il Milan 408, l’Inter 364 e il Napoli 325.
In anatomia si direbbe testa, cuore e gambe. Ma la verità è che la Dea è dove è grazie alle idee di Percassi, l’esecuzione di Gasperini e il lavoro sporco di Sartori. Uno scouting di basso profilo, non si vede, non si sente ai microfoni, il dna dell’Atalanta, però, è opera sua. Come del resto lo è quella strana etica che spinge i nerazzurri a non puntare sui giovani, o meglio, dopo il suo arrivo nell’estate 2014, il settore giovanile ha sfornato solo tre nomi dell’attuale rosa (Sportiello, Rossi e Barrow, adesso al Bologna) subendo l’avanzata di una tattica in controtendenza con il calcio italiano: ovvero quella di affidarsi a giovani (ma non troppo) sconosciuti in Italia e campioni inespressi.
Tutti a prezzi ridotti, tutti forgiati per il gioco di Gasperini. La ricetta è quella che diede i natali al Chievo “dei miracoli” – ex società di Sartori – che con Del Neri in panchina sfiorò la Champions. Il Papu Gomez, Josip Iličić, Zapata, Muriel e poi Hateboer, Castagne o Gosens (pagati complessivamente 8,5 milioni, adesso valgono almeno il doppio ciascuno) hanno alzato il livello della rosa. Kessié (venduto a 30 milioni al Milan), Gagliardini (28 milioni all’Inter), Cristante (25 milioni alla Roma), Conti (24 milioni al Milan), Mancini (15 milioni alla Roma), Caldara (20 milioni alla Juventus), Petagna (13 milioni alla Spal) e Bastoni (31 milioni all’Inter) e infine il capolavoro Dejan Kulusevski, pagato meno di 100mila euro e rivenduto alla Juventus per 44 milioni, fanno parte invece delle 13 partenze che hanno rimpinguato le casse con 257,4 milioni di euro incassati dal gennaio 2017.
Equilibrio in campo e tanti goal fuori, e viceversa. Un tifo che segue e non insegue gli sbalzi di prezzo: l’Atalanta è tra le squadre con il prezzo del biglietto più basso: in media 9,40 euro per un posto in curva a partita. I suoi giocatori più giovani sono Gollini e Pasalic che hanno 25 anni, i suoi assi sono Gomez ed Ilicic che ne hanno 32. Gli abbonamenti sono saliti, Bergamo è tornata allo stadio (contro il Valencia nel vero senso della parola, anche se i dati sono approssimativi, in quanto 40mila tifosi sono entrati a San Siro, ovvero 1/3 degli abitanti di Bergamo). Elementi come Zapata, Mancini e Castagne, sono capaci di garantire, se necessario, massicce plusvalenze per la prossima stagione. Grazie ai 45.792 spettatori presenti sugli spalti di San Siro nella gara contro il Valencia, il club di proprietà della famiglia Percassi ha incassato 2,61 milioni di euro, un record che si unisce a quello del saldo invernale di quasi 140 milioni di euro dovuto alle cessioni. I ricavi dalla Champions League 2019/20 sfiorano i 40 milioni di euro, più gli eventuali 10,5 in caso di accesso ai quarti. Panchina d’ora a Gasperini, Sartori forse il miglior talent scout degli ultimi e uno dei presidenti più equilibrati della storia. La Dea insegna, diverte e ci fa sognare come popolo calcistico. Per noi, ha già vinto.