Quando a criticare il governo per il carattere populista, allarmista e irresponsabile delle sue scelte è un regime comunista, forse è venuto il momento di farsi delle domande. È stato infatti il portavoce del ministero degli Esteri cinese a invitare l’Italia – ancora oggi unico paese europeo ad avere bloccato i voli a causa del coronavirus – a «valutare la situazione in modo obiettivo, razionale e basato sulla scienza». Notizia surreale, che trasmette l’immagine del leader a vita Xi Jinping che rimbrotta il governo della Repubblica italiana col tono con cui Roberto Burioni metterebbe a posto un troll su Facebook. Una reazione, sfortunatamente, tutt’altro che ingiustificata.
Sta di fatto che ieri, al termine dell’ennesimo vertice a Palazzo Chigi dedicato al coronavirus, il blocco dei voli è stato confermato. E pazienza se chiunque può tornare in Italia dalla Cina semplicemente facendo scalo in qualsiasi altro paese europeo, o ripartendo da lì con qualunque altro mezzo. Il che, a rigor di logica, rende semmai più complicato tenere sotto controllo chi arriva, non più semplice. Ma la soluzione dei problemi, al tempo del populismo come metodo di governo universale, come cultura politica condivisa da entrambi gli schieramenti, è l’ultima delle preoccupazioni. Figurarsi il principio di non contraddizione. L’egemonia populista sulla politica, il giornalismo e la cultura del nostro paese, infatti, non ci ha fatto entrare soltanto nell’era della famigerata post-verità, ma anzitutto nell’era della post-logica. Così, nel momento stesso in cui il ministro Roberto Speranza si fa fotografare con le ricercatrici dello Spallanzani e rivendica i risultati della nostra ricerca, limita la proroga alla sperimentazione farmacologica sugli animali a un anno appena – per accedere ai bandi di ricerca europei, peraltro finanziati anche dall’Italia, ne servono almeno due – e tutto questo semplicemente per paura delle proteste di qualche associazione animalista, oltre che, ovviamente, del Movimento Cinque stelle, come già raccontato il 7 febbraio su Linkiesta da Cristina Tognaccini. Il mondo della ricerca spera ancora in un emendamento al Milleproroghe che rimetta le cose a posto (altrimenti, non potendo partecipare ai bandi e programmare investimenti pluriennali, molte linee di ricerca si fermeranno), ma al momento l’unico che vada in questa direzione è stato presentato dalla Lega.
In compenso, nel Milleproroghe ieri avrebbe dovuto arrivare quel gioiello del pensiero giuridico-politico demogrillino rappresentato dall’emendamento «Conte bis» (cosiddetto in quanto elaborato da un omonimo del presidente del Consiglio, anche lui avvocato, però di Leu). E qui davvero la continuità del metodo di governo populista si esprime al suo massimo, e non a caso, trattandosi dei diritti degli imputati. Come ha notato ieri sul Corriere della sera Luigi Ferrarella, infatti, sulla prescrizione siamo passati dalla «legge postdatata» (la riforma Bonafede varata dal Conte I, che entra in vigore un anno dopo la sua approvazione, quindi già in pieno Conte II) alla «legge cabriolet» (come gli assegni scoperti, in quanto alla scadenza, cioè alla sua entrata in vigore il 1° gennaio 2020, non c’era traccia della riforma che avrebbe dovuto accelerare i tempi della giustizia), per finire alla «legge con l’elastico», cioè appunto l’emendamento «Conte bis», che dovrebbe (ri)sospendere momentaneamente l’applicazione della Bonafede, allo scopo di inserire la nuova soluzione, in base alla quale in caso di assoluzione in appello si resusciterebbe la prescrizione sospesa dopo la condanna in primo grado.
Se non ci avete capito niente e vi sembra solo un arzigogolato pasticcio messo insieme da azzeccagarbugli senza scrupoli, avete capito l’essenziale. A cui vanno aggiunti però due dettagli. Il primo è che tali azzeccagarbugli sono al momento al governo del paese. E il secondo, a conferma del primo, è che quella sulla prescrizione era talmente una «legge con l’elastico» da essere tornata indietro prima ancora di vedere la luce. Atteso per tutta la giornata di ieri nella commissione Affari costituzionali in cui si discute il Milleproroghe, infatti, l’emendamento «Conte bis» non è mai arrivato