BenefitGli eurodeputati accusano il Regno Unito di discriminare i cittadini europei

Un gruppo di europarlamentari guidato dalla francese Nathalie Loiseau (Renew Europe) denunciano ostacoli per accedere agli ammortizzatori sociali per gli abitanti dell'Unione sottoposti al pre-settled status. Almeno 300mila italiani hanno fatto domanda

Afp

Londra è un capoluogo d’Italia. Aveva superato Buenos Aires come comunità all’estero più numerosa. Quando c’era la libertà di movimento, cancellata dal virus prima che dalla Brexit, a cercar fortuna sul Tamigi sono sbarcati milioni di europei da tutto il continente. Teme per il loro destino – appeso alla precarietà dei permessi di soggiorno – un gruppo di europarlamentari guidato dalla francese Nathalie Loiseau (Renew Europe). 

In una lettera al ministro britannico Micheal Gove, gli eurodeputati denunciano che «mentre il Paese affronta le severe conseguenze della pandemia globale, i cittadini europei sottoposti al pre-settled status stanno incontrando ostacoli significativi per accedere agli ammortizzatori sociali».

Come lo universal credit, madre di tutti i sussidi, sui cui pendono «requisiti extra» per chi non è inglese. Il pre-settled status è un permesso di soggiorno dalla validità quinquennale. Devono ottenerlo entro giugno 2021 tutti gli europei che vogliono restare; chi è oltremanica da più di cinque anni, invece, è al sicuro e può regolarizzarsi come settled.

Il regime temporaneo serve a conservare i diritti – e a continuare a lavorare – dopo la fine del periodo di transizione, in scadenza a fine dicembre, quando il divorzio dall’Ue diverrà definitivo. Hanno fatto domanda 1,2 milioni di europei. Fra di loro, ci sono almeno 300 mila italiani, come ha riferito all’ambasciata d’Italia Brandon Lewis, all’epoca in servizio all’Home Office. Sono altrettanti, più di trecento mila, i nostri connazionali registrati all’Aire, l’anagrafe per chi ha spostato ufficialmente la residenza all’estero, ma si stima una popolazione più vasta. Il doppio: 600 mila persone. 

Vorrebbe tutelare anche loro la missiva spedita da Bruxelles. «Nella crisi in corso – segnalano i firmatari, esponenti di più d’una famiglia politica –, quelli che potrebbero avere bisogno di assistenza stanno subendo discriminazioni ingiustificate nel peggior momento possibile. Questa sarebbe una violazione del withdrawal agreement». Il patto di recesso è al centro del braccio di ferro nei negoziati per i rapporti futuri fra Londra e l’Unione, che vorrebbe estendere l’anno di transizione. Va letta anche in questa prospettiva la mossa di Loiseau, ex ministra di Emmanuel Macron. 

 

 

Chi detiene il pre-settlement non ha diritto automatico al welfare, deve risultare «economicamente attivo» esibendo la busta paga. Questa legge, varata nel 2019, ha passato il vaglio della corte suprema, che però ha dovuto riconoscere fosse discriminatoria.  «È come se il Regno Unito dicesse agli europei: potete vivere qui, sarete valorizzati, ma non vi renderemo facile accedere ai benefit», ha riassunto al Guardian l’avvocato Luke Piper del network the3million («3 milioni» come i cittadini comunitari sull’isola). Servirebbe una battaglia legale.  

Ai quotidiani britannici, Downing Street ha replicato escludendo disparità. «Il governo protegge i diritti degli europei residenti nel Regno Unito. Tramite lo EU settlement scheme, potranno lavorare, studiare e usufruire dei servizi almeno quanto fanno oggi». È quanto conferma anche Rachele Lolini, emigrata 27 anni fa e fra i gestori di «Italiani uniti a Londra», un gruppo Facebook con più di 59 mila membri. 

 

«Non mi risulta che nessuno venga penalizzato perché europeo – spiega Lolini –, ma per accedere al welfare servono certi requisiti, come aver lavorato un minimo di tre mesi. Non è che puoi arrivare qui e fare domanda, devi poter dimostrare di vivere nel Regno Unito. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, gli europei hanno sempre avuto gli stessi diritti dei British, indipendentemente dalla crisi, e nulla è cambiato. Chi è registrato con un medico di base ha accesso alla sanità pubblica». 

Una corrispondenza su Die Welt ha raccontato il caso di una coppia tedesca: colpiti dalla febbre, perdono il lavoro nei magazzini del Somerset e non riescono più a pagare l’affitto. Restano loro solo 200 sterline. Al Guardian un tecnico informatico cipriota ha riferito di essere rimasto escluso dai sussidi, nonostante fosse in regola come pre-settled, perché la sua attività è stata aperta più tardi dell’aprile 2019, il termine governativo per i prestiti. «Non so come faremo a sopravvivere nelle prossime settimane». Sua moglie è incinta del secondo figlio. 

«Il pre-settled qui non è visto come una garanzia totale, ma come un pezzo di carta con una scadenza – spiega Mariaelena Agostini, giornalista di Londra Italia, nella capitale dal 2015 –. È tutto online, se si perdono i dati si perde anche il diritto a rimanere? Sembra più un promemoria che un documento, nessuno con un pre-settled si sente sicuro, a maggior ragione in questo periodo di limbo». 

Con i tagli dei governi conservatori, ricostruisce Agostini, shortage – carenza strutturale – è la parola che caratterizza la sanità inglese. Di medici e infermieri, storicamente. Di mascherine e tamponi, nelle settimane apicali del contagio, nonostante l’«esempio» del nostro Paese. «Londra è la quinta città italiana (per popolazione) e noi italiani siamo stati i primi a osservare le distanze o andare in smart working, ma il governo ha sprecato le settimane di vantaggio». 

 

Fra marzo e aprile, 19 mila italiani sono rimpatriati in aereo dalla Gran Bretagna. I loro diritti acquisiti sono coperti: possono assentarsi senza perderli per un massimo di due anni, anche in caso di pre-settlement. I periodi di assenza sono rilevanti per “salire di categoria”, al grado di settled: va provato d’aver abitato nel Regno Unito per più di sei mesi in ciascuno dei cinque anni di validità. Con l’emergenza sanitaria e le frontiere chiuse, però, ci si aspetta una linea più morbida da parte dell’Home Office.  

Il Regno dipende da immigrati di prima e seconda generazione. Inclusa la sanità pubblica che viene applaudita in questi giorni. Sono 153 mila su un organico di 1,2 milioni gli «stranieri» del NHS. Nelle tabelle, il tricolore svetta all’ottavo posto, con 6396 professionisti (dato 2017). Non erano britannici, per esempio, neppure gli infermieri – da Portogallo e Nuova Zelanda – che hanno vegliato «notte e giorno» il premier Boris Johnson quand’era in terapia intensiva, guadagnandosi una menzione riconoscente nel primo discorso alla nazione della convalescenza.

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