Salman Rushdie, accoltellato da un fanatico nello stato di New York durante un dibattito pubblico, è il simbolo di molte cose, innanzitutto del suo coraggio intellettuale e morale, della sua capacità letteraria, ma anche della violenza prevaricatrice dell’islamismo politico e non solo dell’ayatollah Ruollah Khomeini e, infine, della pavidità di un Occidente che a fronte del ricatto petrolifero ha ceduto su tutti i piani alla violenza jihadista che colpisce ancora una volta.
Il 14 febbraio 1989 l’ayatollah iraniano Ruollah Khomeini emette una Fatwa con cui incita i musulmani a uccidere Salman Rushdie per blasfemia nei confronti del profeta compiuta nel libro “I Versi Satanici”. Il governo iraniano si incarica formalmente di eseguire la Fatwa e promette una taglia di 21.500 dollari per chi uccida lo scrittore.
La Fatwa è illegittima per lo stesso diritto islamico, come attesta il grande islamista Gilles Kepel, perché la supposta blasfemia è avvenuta al di fuori del Dar al Islam, del territorio dei credenti in cui vige la sharia, ma in Inghilterra che è sede del Dar al Harb, il territorio della guerra nel quale vige la legge dei non credenti. Ma questa estrema forzatura della legge coranica è specificamente voluta da Khomeini proprio per affermare l’universalità mondiale della sua Sharia e dell’islamismo radicale ben al di là e addirittura contro quanto prescrive il diritto coranico.
Manifestazioni violente contro Rushdie scoppiano in tutto il mondo islamico. Pavida è la reazione del mondo intellettuale europeo, che in molti casi accusa Rushdie di essersela andata a cercare, e ancor più quella della stessa Margaret Thatcher (Rushdie è cittadino britannico) che si rifiuta di rispondere a tono, con sanzioni contro l’Iran, alla provocazione di Khomeini.
Sta di fatto che nel giro di poche settimane il traduttore giapponese dei Versetti, Hitoshi Igarashi, viene ucciso da sicari armati da Khomeini, il traduttore italiano Ettore Capriolo viene accoltellato e quello norvegese William Nygaard ferito a rivoltellate. Rushdie viene comunque protetto dalle autorità britanniche e vive sotto scorta da allora.
Ogni anno, per anni, la Fatwa viene rivalutata all’inflazione e si arriva alla farsa del 1998 quando l’ayatollah Khatami, presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, annuncia che il governo iraniano non si ritiene più obbligato ad applicarla. Khatami però si guarda bene dall’annullarla o di chiedere ai Grandi Ayatollah di cancellarla. Si limita a dire che non verrà applicata dal solo governo iraniano, ma nulla fa perché non venga applicata da un credente. Sempre valida dal punto di vista shariatico, è probabile che ieri sia stata eseguita.
È importante peraltro andare al merito dell’accusa di blasfemia lanciato da un Khomeini che palesemente non ha letto il libro e allo stesso titolo Versetti Satanici. Il riferimento di Rushdie ai versetti 19 e 20 della 53a Sura del Corano occupa infatti solo tre paragrafi del libro che dipana avvenimenti e avventure letterarie.
Ma coglie però un punto fondamentale dell’Islam perché, in quei due versetti, in un primo momento Maometto dichiara che è lecito ai musulmani il culto delle tre figlie di Allah venerate dal culto pre islamico: Allat, Uzza e Manat (simili alle caratteristiche di Demetra, Artemide e Venere dell’Olimpo greco).
Ma, racconta due secoli dopo al Tabari, autore di Hadit, episodi della vita di Maometto non rispecchiati nel Corano, riconosciuti in pieno dalla Sunna e dalla tradizione islamica, passata una notte, Maometto decide di negare questo culto delle tre divinità donne perché quei Versetti erano stati ammorbati da Satana.
Una scelta, una negazione, di importanza cruciale per l’evoluzione dell’Islam perché con essa Maometto espelle ogni principio, ogni presenza dell’essenza e della specificità del femminile, della donna, dalla teofania e dalla teologia islamica. Una scelta cruciale per un Islam che riconosce solo il principio divino maschile e nega e annulla quello femminile e che la sensibilità di Salman Rushdie ha saputo cogliere nella sua fondamentale rilevanza. Ma che gli è costata la condanna a morte.