Mossa furba quella di Giorgia Meloni, pronta a scaricare la pistola impugnata da Enrico Letta sull’allarme democratico, vale a dire «l’incubo» che la destra possa accaparrarsi il 70% dei seggi parlamentari e cambiare da sola le regole del gioco: ecco dunque che la leader di Fratelli d’Italia, nel quadro dell’operazione-affidabilità, ha inteso rassicurare tutti con la proposta di una nuova Bicamerale (la quarta della storia della Repubblica) per suggerire l’idea di una condivisione sul tema delicato delle modifiche costituzionali.
Come contromossa tattica può funzionare: allarme, quale allarme? D’altra parte siamo dentro una partita a scacchi nella quale i mitici contenuti volteggiano per l’aria per un tempo che di solito non supera mai le 24 ore e vedrete che finirà così anche per la Bicamerale, strumento storicamente sfortunato (fallite la Bozzi, la Iotti-De Mita, la D’Alema) e sinonimo di inciucio, pateracchio, chiacchiere e distintivo (chiedere appunto a Massimo D’Alema).
È giusto anche evidenziare che mettere mano alle riforme istituzionali e costituzionali non sarebbe davvero male, se ne parla a vuoto da anni senza cavare un ragno dal buco perché di norma alla fine è sempre prevalso un conservatorismo di fondo, quello legato alla «Costituzione più bella del mondo», e anche dovuto ai bizantinismi che le nostre regole prevedono per cambiare appunto le regole, per cui alla fine non se ne fa niente. E invece sarebbe necessario lavorare su cose tipo la riforma dell’articolo V e la questione della forma di governo (e anche se non è materia costituzionale su una nuova legge elettorale) ma al momento è tutta fuffa elettorale.
Meloni dunque pensa di aver stoppato l’allarme di Letta approfittandone per rilanciare una Bicamerale come veicolo per il presidenzialismo: e il segretario del Partito democratico ha risposto di no a entrambe le cose. Perché? Semplice, non si fida di lei. Questo è il punto che andrà in qualche modo affrontato dopo le elezioni: come si ristabilisce un clima di reciproca fiducia?
Su questo aspetto il giurista Francesco Clementi, studioso attento alle dinamiche politiche in relazione ai cambiamenti costituzionali, pone una questione preliminare: «Per dare prova di buona fede rispetto a questo tema, cioè alla volontà di perseguire un dialogo e un confronto reale che poi si realizzi con una commissione bicamerale, oggi, sin da ora, durante la campagna elettorale, prima del voto del 25 settembre, tutti gli attori politici, a partire dal centrodestra guidato da Giorgia Meloni, che in tema sembra essere molto attiva e propositiva, debbono dichiarare che le istituzioni di garanzia saranno messe a riparo contro ogni uso, o meglio abuso, di maggioranza. E questo deve avvenire da subito, a partire dalle prossime elezioni dei consiglieri laici del Csm e dei giudici costituzionali».
Insomma, Meloni deve essere chiara, da adesso, su un punto: che non farà da sola. Il sospetto infatti è esattamente questo, che la leader di Fratelli d’Italia, la quale già si vede a Palazzo Chigi, a pochi metri da un Parlamento stra-dominato dalla destra, faccia approvare da una Bicamerale appunto a maggioranza di destra le nuove norme costituzionali.
Potrebbe essere un bluff, dunque, questa apertura bipartisan. Ma dopo le elezioni il segretario del Pd potrebbe essere costretto ad andare a vedere il gioco di Meloni perché sarebbe difficile dire solo di no con il rischio di apparire come i soliti conservatori istituzionali mentre lei sarebbe la riformista: per il momento la questione è di là da venire, ma mentre la destra è partita all’attacco e il Terzo Polo propone l’elezione diretta del presidente del Consiglio, dal partito di Letta, dietro i no non si vede null’altro. Non sarebbe un buon segno se si dovesse rimpiangere l’attivismo politicista di D’Alema di 25 anni fa.