Mozione casaccioIl discorso della paura di Letta e lo stanco appello al voto utile

A 20 giorni dalle elezioni il segretario del Partito democratico non è ancora in grado di chiedere un voto agli italiani per governare con una chiara formula e un candidato presidente del Consiglio

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Secondo qualche malevolo l’appello di ieri di Enrico Letta ai candidati del Partito democratico si è reso necessario perché non tutti stanno remando con la dovuta forza, cosa che in parte risulta vera anche in conseguenza di una legge che ad alcuni candidati blindati assicura l’elezione senza sforzo. La mobilitazione del partito non è ancora all’altezza della sfida, specie al Sud. I sondaggi non segnalano per ora inversioni di tendenza. Ma la novità dell’iniziativa del segretario va cercata altrove: sta nella drammatizzazione di un probabile esito elettorale che metterebbe a rischio la democrazia. Non siamo all’evocazione del pericolo fascista, ma raramente si era giunto a tanto. 

Nemmeno negli anni ruggenti di Berlusconi la sinistra, che pure al Cavaliere gliene diceva di tutti i colori, vedeva il rischio di un indebolimento della democrazia, addirittura di una manomissione delle regole costituzionali. Invece, a meno di 20 giorni dal voto, il segretario del Pd ha deciso di sparare la bordata più clamorosa: con questa legge elettorale la destra può arrivare al 70% dei seggi pur non avendo la maggioranza dei voti e ciò per colpa di un «effetto distorsivo» della quota di seggi uninominali prevista dal Rosatellum. 

Sembra dunque un Letta convertito al proporzionalismo – lui che è sempre stato a favore del maggioritario – dove non esistono «effetti distorsivi», se prendi il 45% dei voti più o meno prendi il 45% dei seggi e siamo tutti contenti: peccato dunque non aver fatto una forte battaglia in Parlamento e nel Paese per cancellare il Rosatellum e meno che mai per contrastare il taglio casuale del numero dei parlamentari, un combinato disposto che rischia di tagliare le gambe a un Pd già in affanno per ragioni generali.

Dopo il 25 settembre (Letta pare accreditare i sondaggi) la destra guidata da Giorgia Meloni potrebbe arrivare a cambiare da sola la Costituzione o comunque eleggersi senza accordi bipartisan i giudici costituzionali e i membri del Consiglio superiore della magistratura di nomina parlamentare, e sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica: di qui l’allarme democratico e l’ennesimo appello al voto utile esplicitamente rivolto a chi ha intenzione di votare Carlo Calenda o Giuseppe Conte, i quali «oggettivamente» stanno facendo un regalo alla destra regalando 60 seggi contendibili (ma sono così tanti?) a Meloni e non è nemmeno vero che dopo la vittoria, che per Letta non è affatto sicura (ma allora perché lancia l’allarme democratico?), la destra sia destinata a sfasciarsi, questa «è una percezione sbagliata». Si tratta di un uno-due paradossale: il segretario dem, pur negandola, sente la vittoria della destra e in qualche modo prevede una successiva stabilità di governo laddove tantissimi segnali indicano che la coalizione diretta da Meloni è intrisa di contraddizioni destinate a esplodere. 

La richiesta del segretario al popolo, un po’ cervellotica, è questa: «Un più 4% di voti a noi consentirebbe di tenere la destra sotto il 55 per cento», dunque lontana da tentazioni autoritarie.

È un discorso della paura, appena addolcito dalla fiducia nel rush finale dei militanti e dalla speranza che quelli che avrebbero potuto essere due alleati, Calenda e Conte, alla fine cedano in favore del voto utile, cioè del Pd, considerato unico baluardo della difesa della democrazia e della Costituzione. Ma alla controffensiva lettiana manca un pezzo d’artiglieria fondamentale, cioè l’indicazione di una chiara proposta di governo più forte di quella formulata della provvisoria alleanza di destra a trazione meloniana. 

A pochi giorni dal voto il Pd non è ancora in grado di chiedere un voto per governare con una chiara formula e un candidato presidente del Consiglio riconosciuto: se per caso il Pd vincesse, con chi governerebbe? Ancora con il populista Conte col quale i rapporti sono azzerati? Con un Terzo Polo continuamente accusato di essere l’utile idiota della destra? 

Qui sta il suo vero punto debole perché puoi anche avere i programmi più belli del mondo ma se non indichi agli elettori chi li dovrebbe mettere in atto rischi di aver fatto un lavoro inutile. Non resta dunque che l’allarme per la democrazia, un classico dei momenti più difficili. Probabilmente è un grido che mobiliterà i militanti ma non è detto che comunicare al Paese la paura di perdere risulterà efficace.

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