Nessuno si faccia facili illusioni. Era prevedibile che la maggioranza trovasse l’intesa sulla manovra economica. Giorgia Meloni non poteva steccare al primo importante appuntamento di legislatura, scontentando Silvio Berlusconi. Il Cavaliere aveva insistito su alcuni punti come la proroga del superbonus edilizio al 31 dicembre e l’aumento delle pensioni minime che sono state portate a 600 euro. Una piccola vittoria per la verità, un contentino perché di questo aumento ne usufruiranno gli over 75 mentre Forza Italia avrebbe voluto fosse erga omnes. Ma quello che conta è il segnale politico per i partiti del centrodestra che vogliono fare il percorso netto dei cinque anni di legislatura. Impresa del tutto alla loro portata visto che le forze politiche d’opposizione sono divise, si azzannano e si cannibalizzano a vicenda.
Era pure prevedibile, come avevamo avuto modo di scrivere quando c’è stato l’incontro a Palazzo Chigi con Carlo Calenda, che quella della presidente del Consiglio era un bluff per mettere paura all’alleato berlusconiano, ridotto di fatto a una ruota di scorta. Non è un caso che non sia stata accolta una sola delle proposte portate a quell’incontro: ieri in commissione Bilancio è stato bocciato emendamento del Terzo Polo per l’azzeramento del cuneo contributivo per i giovani.
Ora c’è un altro tema che segna la distanza. Si tratta della ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. Azione-Italia Viva ne chiedono la calendarizzazione urgente in Parlamento. «Adesso vediamo chi lavora per l’Italia e chi contro», dice Matteo Richetti. Luigi Marattin usa parole durissime contro il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha collegato il Mes sanitario (39 miliardi a costi quasi zero per modernizzare il nostro sistema) alla ratifica della riforma. Due cose distinte, un accostamento «come fanno i peggiori profili anonimi sovranisti su Twitter. È una cosa oggettivamente sconcertante», attacca Marattin.
La maggioranza tiene a debita distanza Carlo Calenda e Matteo Renzi, come ha chiesto Berlusconi. E costringe il Partito Democratico a scendere in piazza e stringersi a Maurizio Landini e Giuseppe Conte che stanno occupando il residuo territorio di sinistra. Il centrodestra si blinda per prepararsi alle prove più dure; alla realizzazione, nei tempi imposti da Bruxelles, delle opere previste dal Pnrr; alla battaglia sul fronte dei migranti; ai venti di recessione e alla pressione leghista sull’Autonomia differenziata.
Ieri, su questo tema, è arrivato l’avvertimento di Luca Zaia a Salvini. Il governatore Veneto ha fatto presente che la Lega, diventando un partito nazionale, ha dovuto mettere in discussione «le singole identità» e quindi «è ovvio che ci sia una richiesta di identità». Un dito nella piaga del leader del Carroccio. È un chiaro riferimento alla nascita del Comitato del Nord ispirato da Umberto Bossi e del gruppo scissionista alla Regione Lombardia. Ecco perché, secondo Zaia, la Lega deve giocarsi tutto sull’Autonomia differenziata.
Meloni ha tanti motivi per stringere i bulloni e tenersi buona Forza Italia. Berlusconi ha gli unici due governatori forti, Roberto Occhiuto e Renato Schifani, nel ridotto elettorale della Calabria e della Sicilia: da quelle parti della identità nordista non frega un fico secco. E poi c’è il fronte europeo dove la presidente del Consiglio è sempre in bilico tra moderazione e istinto sovranista. Il tetto al contante e al Pos, il niet di Giorgetti al Mes, l’attacco ruvidissimo di Guido Crosetto alla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde (non del tutto sbagliato) per avere annunciato a borse ancora aperte un’escalation di rialzi del tasso d’interesse. Il ministro della Difesa, considerato un moderato del governo, alza i toni al massimo, cosa che non può fare direttamente Meloni, ma il messaggio fatto recapitare è molto chiaro. Crosetto sostiene che la Bce è tornata in mano ai falchi, che strozza l’economia e con una guerra in corso diventa oggettivamente «la migliore alleata di Putin». Nell’ex opposizione ora la governo sembra ci sia la nostalgia canaglia dei bei tempi quando a comandare l’Eurotower c’era quel Mario Draghi che teneva a bada i falchi tedeschi e olandesi mentre Fratelli d’Italia lo consideravano un affamatore di popoli.
Ora anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in genere europeista molto ortodosso, boccia l’aumento dei tassi. «Non ha senso. È giusto che lo faccia la Fed ma in Europa non ha senso visto che l’inflazione è legata al costo dell’energia». Ha detto di più: di essere favorevole a usare il Mes ma di non condividerne il regolamento perché la governance non è soggetta a controllo democratico, il direttore del Mes non deve rendere conto a nessuno. Sono gli stessi argomenti di Meloni e Salvini.
Nessuno si faccia facili illusioni, appunto.