La prima volta l’avevo sentita durante una call. Il tizio che introduceva («un piccolo briefing…») aveva fatto una lunga premessa, enunciato una serie di obiettivi (lui aveva detto target), evocato un paio di volte il budget, poi aveva cambiato tono e l’aveva sparata: «Adesso si tratta di mettere a terra…».
Mettere a terra? Credevo di aver capito male.
E invece no, perché poco dopo aveva preso la parola un altro tizio, e anche lui a un certo punto aveva spiegato che «per mettere a terra…». E poi una tizia, che per levarsi il pensiero se l’era giocata subito: «Quando andremo a mettere a terra…».
Ci sono delle espressioni che senza una ragione precisa, soprattutto senza un significato definito, dall’oggi al domani prendono a rimbalzare da una bocca all’altra per una sorta di coazione a imitare: a volte miscelando creativamente gli ingredienti lessicali per dare vita a cocktail originali (che non sempre vuol dire anche riusciti), altre volte stravolgendo il senso di un’espressione già in uso. E chi ha da intendere…
Quella volta anch’io cominciavo a intendere. Ma per scrupolo, mentre il notebook mi rimandava altre voci di persone “tutte giù per terra”, era andato a cercare sul vocabolario online della Treccani: “mettere a terra 1. [influire negativamente sulle condizioni fisiche di una persona: la malattia lo ha messo a terra] ≈ abbattere, (fam.) buttare giù, debilitare, fiaccare, indebolire, svigorire. 2. (estens.) [ridurre qualcuno in pessime condizioni economiche: tutte quelle spese lo hanno messo a terra] ≈ (fam.) buttare in mezzo a una strada, dissanguare, (fam.) gettare sul lastrico, rovinare, impoverire”. Sul vocabolario De Mauro c’era anche un’accezione tecnica, ben nota agli elettricisti: “collegare un’apparecchiatura elettrica all’impianto di terra, per disperdere cariche in eccesso su un condensatore di enorme capacità”.
Nessuna di queste definizioni si confaceva a quel che avevo creduto di capire. Eppure tutti sembravano intendersi perfettamente, quindi il problema era mio. Infatti da quel giorno avevo cominciato a farci caso e intorno a me era tutto un prodigarsi: i politici in tv, i manager nei virgolettati sui giornali, i giornalisti stessi, ognuno aveva qualcosa da mettere a terra, e naturalmente adesso con il mitico Pnrr il grande assillo è quello di mettere a terra i progetti e le risorse del Pnrr: un’operazione che, almeno nelle intenzioni, non dovrebbe corrispondere a nessuna delle accezioni riportate dal vocabolario Treccani – anche se l’esito finale potrebbe essere proprio quello.
Come è possibile, allora, che questa messa a terra (non quella a cui provvedono gli elettricisti), da una connotazione unilateralmente negativa sia passata a una positiva? Probabilmente all’origine della palingenesi semantica agisce l’eco di un’altra locuzione in cui entra la parola terra, “avere/tenere/stare con i piedi per terra”, ossia rimanere ancorati alla realtà, non abbandonarsi alle fantasie. E quindi – in questo uso ormai prevalente, benché non (ancora) registrato dai dizionari – mettere a terra non vuol dire abbattere, indebolire, rovinare un progetto, ma ricondurlo dal cielo delle idee astratte alla terragna concretezza fattuale, ossia metterlo in pratica, renderlo operativo, realizzarlo, passare dalla fase progettuale a quella attuativa.
Una traslazione azzardata, perché non soltanto stravolge, ma addirittura ribalta il valore assiologico della locuzione. Ma tant’è. Nella locuzione rigenerata quel che conta non è tanto il verbo quanto il sostantivo terra, che generalmente – quando non è il complemento di luogo di mettere o verbi simili – attiva una serie di implicazioni di segno positivo. In quanto contrapposta al cielo, dove galleggiano le nuvole, la parola terra assume così il valore di una meta da raggiungere, già in vista, in cui risuona il ricordo dell’urlo che Rodrigo de Triana lanciò dalla coffa della Pinta il 12 ottobre 1492, e che all’inizio del Novecento rilanciavano i nostri emigranti quando avvistavano le coste della “Merica”. Tanto che al posto del verbo mettere è possibile trovare anche arrivare, come in una dichiarazione della premier Giorgia Meloni (una benemerita di questa rubrica), nella sua prima visita istituzionale all’estero, lo scorso 3 novembre a Bruxelles, preoccupata «che le risorse possano effettivamente arrivare a terra».
Come tutte le mode, anche questo tropo ambiguo e grossolano passerà. Bisogna armarsi di pazienza e aspettare. Nel frattempo, però, sarebbe bene guardarsi dalle cadute nella comicità involontaria. Viene in mente l’allora ministro Roberto Speranza che nel dicembre 2021, in un Paese ancora piegato sotto i colpi della pandemia, parlava di «mettere a terra la Sanità del futuro». Cioè darle il colpo di grazia, dopo la tempesta che l’aveva stremata? Qualcuno, equivocando, avrà pensato che il ministro della Salute fosse impazzito.