La madre di tutte le sovranitàL’Ue ha bisogno di una politica fiscale e degli investimenti comune

La leva fiscale europea è frazionata, quindi inefficace, per questo a giugno bisogna votare per dare a Bruxelles i poteri necessari a creare una strategia integrata per i Ventisette. Se ne parlerà lunedì 25 marzo al Teatro Parenti durante il sesto appuntamento della rassegna “Una grande Europa o tante piccole nazioni?”

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Il 9 giugno oltre quattrocento milioni di europei di ventisette Stati decideranno, anche se forse non se ne rendono conto, della parziale cessione di sovranità del loro Paese a beneficio dell’Unione Europea. Perché, al di là delle diatribe politiche strettamente nazionali di cui sono infarcite le campagne elettorali nei vari Paesi, ciò che il voto popolare deciderà davvero è se l’Unione imboccherà la strada lunga e complessa che porta agli Stati Uniti d’Europa, oppure quella della regressione verso un club, o condominio continentale, dilaniato dagli interessi nazionali, facile ai litigi, ai rinvii, al decidere di non decidere, e per di più con la malsana norma dell’unanimità, che nei condomini grazie al cielo non c’è.

Gli elettori forse sono poco consapevoli della scelta che stanno per fare, sia per la già citata natura nazionale delle elezioni Europee – che se ci pensate è un ossimoro – sia perché si aggira nei cieli della politica questo strano drone verbale, cessione di sovranità, che è locuzione vagamente ansiogena, antipatriottica, che suona come abdicazione e occupazione dello straniero.

È venuto quindi il momento di dire a gran voce che la cessione di sovranità è una cosa bella, buona e nell’interesse di tutti (tranne forse che dei governanti nazionali).

E lo è perché sottopone le questioni troppo grandi per essere governate dagli Stati (energia, politica estera, ricerca e innovazione, clima, difesa eccetera) all’azione di una sovranità, quella del secondo blocco economico mondiale, molto più forte, quindi efficace. Quindi nessuna abdicazione allo straniero, ma adozione di una più forte sovranità europea.

E qui va detto che la madre di tutte le sovranità, perché ce ne sono diverse, è probabilmente quella fiscale. La capacità fiscale, cioè la facoltà di governare un bilancio pubblico, di fare e gestire investimenti pubblici, di imporre tasse e di contrarre debito pubblico, è oggi in Europa appannaggio quasi esclusivo degli stati nazionali. Mentre al contrario la sovranità monetaria è stata ceduta al livello sovranazionale, da venti dei ventisette Stati, con l’introduzione dell’euro e della Banca centrale europea. E questo sdoppiamento tra leva monetaria e fiscale crea non pochi problemi.

E dunque è la leva fiscale europea – frazionata e quindi inefficace – che necessita urgentemente di unificazione parziale. Occorre che l’Unione assuma una parte dello spazio fiscale degli Stati membri, creando uno spazio a due livelli, nazionale e federale, molto più forte ed equilibrato di quello attuale.

Mario Draghi ha parlato di necessità improrogabile di investimenti di cinquecento miliardi aggiuntivi per la competitività europea: per la transizione climatico-energetica, per la sfida digitale e dell’intelligenza artificiale e per la difesa. Oggi il bilancio europeo corrisponde all’1,03 per cento del Pil continentale. Per dare una misura, il bilancio federale statunitense pesa circa il venti per cento del Pil americano.

Ma non è solo questione di quanto investire, ma di come. Perché una volta stanziati i soldi, bisogna essere capaci di spenderli e spenderli bene. Il caso macroscopico è quello del Next Generation EU, che ha messo in campo a livello europeo la cifra enorme di settecentocinquanta miliardi (tra prestiti e sovvenzioni) per la ripresa post pandemica e per riforme socio-economiche strutturali. Bene, l’Europa fa squadra davvero, piega le resistenze dei frugali del nord, e fa uno sforzo storico per superare la crisi soprattutto coi suoi membri più deboli (l’Italia, da sola, riceve circa un quarto del totale). Ma non bene del tutto, ahinoi.

Perché subito dopo è scattata la vecchia cara logica della sovranità nazionale: mentre la Commissione europea voleva, saggiamente, che una parte importante dei fondi del Next Generation Eu fossero gestiti direttamente dall’Europa, i governi nazionali si sono intestarditi e hanno imposto (sì, perché alla fine decide tutto il consiglio dei capi di governo) che i fondi fossero gestiti solo ed esclusivamente dagli Stati nazionali.

La massa di denaro è così entrata nelle idrovore delle politiche nazionali e di conseguenza degli interessi politici, elettorali e burocratici degli stati membri. Lo sappiamo bene noi in Italia dove il Pnrr, cioè il piano di utilizzo dei fondi Next Generation Eu, è in forte sofferenza, per ritardi, per cambiamenti di destinazione dei fondi, per incapacità di gestire le riforme strutturali per le quali i fondi sono stati assegnati, scivolando verso utilizzi di spesa ordinaria dello stato, e a volte anche di progetti improbabili che molta ilarità hanno suscitato in Europa, come il rifacimento dello stadio di Firenze. (Ah, les Italiens…).

La strada verso una forma di Stato europeo che affianchi gli Stati nazionali è lunga e irta di insidie, ma se noi cittadini non daremo a giugno un segnale di questa aspirazione, le cose si fermeranno e Casa Europa non reggerà l’urto dell’allargamento verso est dell’Unione, necessario e inevitabile dopo la guerra di aggressione russa.

L’autore Marco Ghetti è presidente di Per l’Italia con l’Europa, che co-promuove due eventi su questi temi: “Per una politica fiscale e degli investimenti a livello europeo” relatori Carlo Cottarelli, Veronica De Romanis e Irene Tinagli, al Teatro Parenti di Milano il 25 marzo. E “Oltre il voto di giugno. L’Europa è il fine della nostra democrazia” al Centro Studi Caldara a Milano il 27 marzo.

Il Teatro Franco Parenti organizza otto incontri sulle sfide che (solo) un’Europa più unita può vincere, una rassegna dal titolo “Una grande Europa o tante piccole nazioni?”

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