Non vorremmo, per lei innanzi tutto, che Elly Schlein diventasse la Zingaretti del 2024. Ricordate cosa fece “Nicola” nel marzo del 2021? Da un giorno all’altro mollò la segreteria del Partito democratico («Qui si parla solo di poltrone, mi vergogno») salvo poi gettarsi a cercare una poltrona per sé. Non capiva o faceva finta di non capire, Zingaretti, che le rogne cosiddette morali non erano la causa della crisi del suo partito ma l’effetto. Le cause erano e sono fondamentalmente due: l’assenza di linea politica e l’inconsistenza dei gruppi dirigenti.
Adesso anche Elly Schlein si è posta in quell’ordine di idee, sostenendo in sostanza che quando le cose vanno male la colpa è delle correnti, dei capibastone, dei cacicchi. «Non decidono le correnti!», è un mantra abbastanza ipocrita, dato che ogni segretario è diventato segretario anche e soprattutto con l’appoggio di qualche corrente organizzata. Elly Schlein forse meno di altri, ma anche lei qualche capobastone di lungo corso l’ha avuto con sé e lo ha premiato.
Nessuno è nato ieri: senza i franceschiniani e i bersaniani nei circoli, dove pure ha perso, sarebbe stata distrutta al punto che le primarie non avrebbero potuto salvarla. Allora, la verità è che cacicchi e capibastone spadroneggiano quando non c’è una linea forte, un profilo autonomo, scelte nette. E quando non esiste un gruppo dirigente autorevole, conosciuto, apprezzato. Se il/la leader non impersona una posizione riconoscibile si trasmette l’idea che ognuno può fare quello che gli pare, tanto non deve rendere conto a nessuno, ogni linea è possibile, ogni alleanza fattibile, dunque ogni comportamento è lecito e di lì a uno scollamento anche sul piano morale il passo può essere breve.
La reazione di Schlein all’aggressione di Conte in questo senso è clamorosa: dopo aver tenuto il punto per un giorno, invece di rompere questa intesa che bene o male regge dai tempi di Goffredo Bettini, la leader se l’è presa con «le correnti», facendo sostanzialmente proprie le accuse dell’avvocato del popolo, uno che pretende di dare lezioni di moralità essendo passato da un’alleanza con Matteo Salvini a un’altra con il Pd senza battere ciglio, e che (non lo sta ricordando nessuno) vede un suo ex dirigente, Marcello De Vito, già presidente del consiglio comunale di Roma durante l’infausta stagione di Virginia Raggi, condannato a otto anni e otto mesi per corruzione e altro nell’ambito della vicenda dello stadio a Tor di Valle. Fu cacciato tempo fa dal Movimento 5 stelle, vero, ma Raggi è sempre consigliere comunale, era in lizza per le Europee.
L’uscita di Schlein di ieri ha innervosito tutte le aree, da Gianni Cuperlo a Lia Quartapelle ad Alessandro Alfieri, persino Dario Franceschini l’ha presa malissimo, ed evidenzia una certa solitudine della giovane leader, passata in pochi giorni dal contrattacco a Conte a questa specie di attacco al Pd. Che nella sua testa può preludere a una pulizia etnica di una corrente ben precisa, quella riformista, mentre quelle amiche ovviamente restano ben salde. E il clima al Nazareno è tornato quello dei giorni peggiori.