Ancora una volta, con le inchieste prima di Bari e poi di Torino, e il modo confuso in cui intercettazioni, interrogatori e illazioni finiscono sui giornali, una presunta questione morale finisce per oscurare una gigantesca questione politica. Viene anzi da pensare che la prima sia spesso usata per nascondere la seconda, come dimostrano le reazioni parallele di Elly Schlein e Giuseppe Conte, che proprio sulla questione morale hanno clamorosamente rotto la propria alleanza, perlomeno a Bari, con accuse reciproche di slealtà e scorrettezza, eppure sembrano dare la stessa identica lettura dei fatti (e del Fatto), traendone le stesse identiche conseguenze.
Come emerge, per Schlein, dalle parole riportate in un informato retroscena pubblicato su Repubblica; per Conte, da due interviste più o meno uguali, una al Corriere della Sera e l’altra al Fatto quotidiano. Una scelta che ricorda peraltro la prassi dei segretari di una volta con i propri giornali di partito, cui non era loro consentito dare il buco. Giornali che inevitabilmente finivano per avere sempre la versione più ortodossa, persino le rare volte in cui si limitavano a ripubblicare, dopo, l’articolo già uscito sul quotidiano concorrente, come accadde con la celebre intervista di Enrico Berlinguer al Corriere in cui dichiarava di sentirsi più sicuro «sotto l’ombrello della Nato» (proprio così: «più sicuro», mica accerchiato, e già qui si potrebbe misurare quanta strada abbiamo fatto da allora, all’indietro), ripubblicata dall’Unità, depurata però del passaggio sulla Nato. Ma non divaghiamo.
Da un lato Conte dice al Fatto (e con minime variazioni di forma anche al Corriere) che Schlein deve decidere «se trasformare il Pd, come aveva promesso, o se lasciarsi trasformare dal vecchio Pd»; dall’altro Schlein avrebbe detto ai suoi di essere intenzionata ad andare avanti con il cambiamento, anzitutto nella composizione delle liste per le europee, che dovranno essere «espressione del profilo nuovo» che lei ha voluto dare al partito. Vale a dire, come riassume Carmelo Lopapa nell’articolo, «senza caminetti, senza trattative con le correnti interne, insomma senza ascoltare capibastone pronti a mercanteggiare consensi». Difficile dire dunque in cosa differisca la posizione di Schlein da quella di Conte, ma anche da quella dello stesso Michele Emiliano, uomo della società civile (tecnicamente è tuttora un magistrato in aspettativa) che da sempre fa della battaglia contro i vecchi apparati la propria bandiera. Almeno fino a ieri, peraltro, difeso strenuamente proprio dal Fatto come lo sceriffo che in Puglia ha riportato la legalità, prima in veste di pm e poi in veste di politico. Ragion per cui non si capisce chi sarebbero mai questi famosi cacicchi e capibastone che tirano le fila del Pd con cui se la prendono tutti. Sarà mica il sindaco di Triggiano?
Forse andrebbe considerata l’ipotesi che dietro tante forme di corruzione o anche di semplice malcostume (vedremo cosa resterà, di tante romanzesche ricostruzioni, alla fine dei processi, se e quando ci arriveremo) ci sia al contrario proprio il modello politico del leader solitario e inamovibile, eletto direttamente e naturalmente sempre in guerra contro il vecchio, i partiti, le correnti, gli apparati e i capibastone che pure ne garantiscono il potere (cordialmente ricambiati). Un circolo vizioso di demagogia, antipolitica e clientelismo in cui si mescolano cattivo giornalismo, cattiva politica e pessima amministrazione della giustizia (e anche una concezione pericolosa delle riforme istituzionali e dei sistemi elettorali, primarie comprese). Per quanto si possa criticare la famosa intervista di Berlinguer del 1981 a Eugenio Scalfari sulla questione morale, intervista cui io stesso avrei molte obiezioni da fare, obiettivamente il segretario del Pci non meritava il ruolo di foglia di fico per questo genere di spettacolo.
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