In attesa che le persone serie abbiano il tempo di ricostruire i fatti ed elaborare un’interpretazione convincente di quanto sta accadendo sui diversi teatri della guerra condotta da Vladimir Putin e dai suoi alleati contro l’occidente democratico e l’ordine liberale, dalla Siria alla Romania, passando ovviamente per l’Ucraina, si può trarre comunque qualche informazione utile, e molto diletto, dall’attento ascolto delle persone non serie.
In attesa di capire cosa accadrà adesso in Siria, possiamo divertirci ad ascoltare le profezie di sventura dei nostri analisti da talk show, quelli secondo cui fino a ieri bisognava riconoscere che in Siria Putin aveva già vinto e che ora ci spiegano che la sua sconfitta in Siria lo farà comunque vincere ancora di più in Ucraina (dove peraltro giurano che abbia già vinto da almeno tre anni).
In attesa di capire cosa accadrà in Romania, e la solidità delle basi di una decisione indubbiamente grave e rischiosa quale l’annullamento del voto, possiamo svagarci osservando lo spettacolo dei nostri «capitori di Putin», e di ogni altra forma di populismo, impegnati dal primo istante a spiegarci le sottigliezze della politica e del costituzionalismo rumeni, ovviamente per giungere alla conclusione che l’annullamento del voto è un colpo di stato.
Tra le poche certezze, c’è il fatto che la repentina caduta di Bashar al Assad, non a caso subito riparato a Mosca, rappresenta un colpo durissimo per Putin. E anche qualcosa di più, come scrive oggi su Linkiesta Carlo Panella: «Uno smacco politico personale, una figura di impotenza strategica, e il giusto prezzo per aver difeso allo stremo un fantoccio sanguinario come Bashar al Assad».
Ed è al tempo stesso la conseguenza e la pubblica dimostrazione della sua debolezza, o meglio del decisivo indebolimento causato dalle sue sproporzionate ambizioni imperiali e dal loro ruvido impatto con l’eroica resistenza ucraina.
Quella che Christian Rocca chiama «la Guerra Mondiale Siriana» nasce infatti dalla repressione violenta della ribellione del 2011 contro il regime di Assad, che allora «si salvò grazie all’intervento militare e politico di Iran e Russia, ma anche grazie al mancato intervento dell’America di Barack Obama, nonostante il regime di Damasco avesse varcato la cosiddetta linea rossa, fissata dallo stesso Obama, sul divieto di uso di armi chimiche».
Un peccato di omissione di cui abbiamo pagato care le conseguenze. E una dimostrazione di viltà occidentale che rappresenta ancora oggi, probabilmente, la migliore e purtroppo non infondata speranza di Putin.
Ma ci sarà tempo per valutare appieno implicazioni e conseguenze di quanto sta accadendo. Quel che è certo è che è stato un pessimo fine settimana per tutti i nostri indefessi «capitori del populismo», putiniani a cinque stelle e geopolitologi da campo largo. Quindi, tutto considerato, non un cattivo weekend.