Milano. "Buongiorno, il mio nome è Iyyad Allawi", comincia così lo spot elettorale del premier iracheno in onda su al Arabiya. E’ la prima volta che il mondo arabo vede un leader in carica chiedere voti ai suoi concittadini. Ma è anche la prima volta di un capo di governo che si candida pur sapendo di non poter ottenere la maggioranza, senza per questo perdere la speranza di mantenere il posto. Il 30 gennaio, fra tre giorni, gli iracheni voteranno per eleggere 275 parlamentari all’Assemblea nazionale, così come previsto dall’accordo del 15 novembre del 2003 scaturito dalla risoluzione Onu numero 1511 del 16 ottobre dello stesso anno. Fin qui, nonostante gli scetticismi, tutte le tappe di quel calendario sono state rispettate in pieno dai nuovi leader iracheni: la Costituzione provvisoria del febbraio del 2004, il passaggio di sovranità a giugno e ora il voto nazionale e provinciale. Le prossime saranno la Costituzione definitiva, un referendum confermativo (entro ottobre) e, infine, a dicembre 2005, l’elezione di un Parlamento vero e proprio.
Gli scettici dell’esportazione della democrazia, dice l’ex portavoce americano Dan Senor, ora contestano la legittimità di quelle stesse elezioni che fino a poco tempo fa credevano impossibili. Il punto è che nelle tre province sunnite, per paura o convinzione, ci sarà una scarsa affluenza. Molti commentatori, poi, sostengono che gli sciiti (60 per cento degli iracheni) governeranno contro arabo-sunniti (20 per cento) e curdi-sunniti (20 per cento).
E’ più probabile che accada il contrario.
Il premier Allawi è un ex membro del partito di Saddam, poi oppositore, esule e uomo della Cia. E’ stato scelto dal rappresentante Onu, Lakhdar Brahimi, ed è appoggiato dalla Casa Bianca, dal dipartimento di Stato e dal vicino regno di Giordania. Allawi, che è di religione sciita, guida una lista che tenta di raccogliere i voti della borghesia laica e, soprattutto, cerca di convincere a votare i sunniti che temono di perdere i privilegi goduti negli anni di Saddam a svantaggio della maggioranza sciita. La questione, dunque, è se nelle tre province dove regnano le squadre dell’ex dittatore e di al Zarqawi, i sunniti andranno a votare. Secondo John Podhoretz, sul New York Post di ieri, è un falso problema: "Se i sudafricani bianchi avessero rifiutato di partecipare alle prime elezioni libere del 1994, nessuno al mondo avrebbe detto che la loro non partecipazione avrebbe invalidato i risultati elettorali". Ma la preoccupazione è seria. E sono per primi gli sciiti a riconoscerlo. Tanto che i leader della grande Alleanza sciita accreditata della vittoria si augurano di non "stravincere" perché sarebbero costretti a rassicurare i sunniti sulla natura riconciliatoria del nuovo governo.
Come si elegge il premier
Abdul Aziz al Hakim, capolista sciita ma non candidato alla premiership, ripete che i sunniti dovranno avere un’adeguata rappresentanza nel governo. E, tra l’altro, pare sia già pronto uno stratagemma per far entrare in Assemblea i sunniti, qualora la scarsa affluenza nelle loro province li vedrà sottorappresentati. I membri del nuovo governo, infatti, dovranno dimettersi da parlamentari ma non c’è una legge che ne regoli la sostituzione. Così si parla di un meccanismo che bilanci gli scompensi geografici o politici.
Ma è tutta la dinamica istituzionale, non solo quella politica, a garantire sunniti e curdi. Il governo, infatti, non sarà eletto dall’Assemblea, ma attraverso una procedura volta a favorire l’unità nazionale. La Costituzione provvisoria (articoli 36 e 38) dice che l’Assemblea elegge a maggioranza dei due terzi, quindi garantendo le minoranze, un Capo dello Stato e due vice che, insieme, formano il Consiglio di presidenza. I tre saranno uno sciita, un curdo e un sunnita. Le indiscrezioni indicano nel curdo Jalal Talabani il nuovo presidente, ma è possibile che sia un sunnita. I tre, all’unanimità, quindi di nuovo garantendo tutti, nomineranno il nuovo premier che poi dovrà ottenere la fiducia in Assemblea. Stesso meccanismo d’unità nazionale anche per l’approvazione della Costituzione, che non sarà ratificata se al referendum tre province la bocceranno con la maggioranza di due terzi. Allawi oggi è il punto di equilibrio politico tra sciiti ed establishment del vecchio regime. Rischia solo se la sua lista dovesse andare molto male alle elezioni, ipotesi non remota. E’ di nuovo attivo l’ex amico degli americani, Ahmed Chalabi ma i candidati-premier dell’Alleanza sciita sono lo scienziato Husseim Shahristani e il ministro delle Finanze, Adel Abdul Mahdi.