Camillo di Christian RoccaLe strategie di Bush e dei liberal per fermare l'Iran e vincere le elezioni

New York. C’è chi ha definito il discorso di George W. Bush (che pubblichiamo in queste due pagine) come il più importante della sua presidenza assieme a quello del 12 settembre 2001 alle Nazioni Unite. Il testo bushiano implora il mondo a non sottovalutare, anzi a prendere alla lettera, le minacce di morte all’America e di cancellazione di Israele che i fondamentalisti islamici, da sin Laden ad Ahmadinejad a Nasrallah, ripetono senza tanti giri di parole.
La nuova offensiva bushiana sul terrorismo è duplice, riguarda la minaccia nucleare iraniana, ma anche le elezioni di metà mandato del 7 novembre. Le due questioni sono connesse, come sanno benissimo i democratici che ieri hanno subito replicato a Bush accusandolo di incompetenza. Il punto centrale è sempre lo stesso: quando si avvicina la data delle elezioni, i repubblicani provano a riutilizzare la medesima strategia che ha funzionato alla perfezione nel 2002 e nel 2004, cioè confidano che – di fronte a un serio pericolo per la sicurezza nazionale – gli americani si ricordino della maggiore affidabilità del Grand Old Party e della cronica mancanza di strategia dei democratici. Le difficoltà irachene e il caos mediorientale, oltre a una serie di problemi interni, oggi fotografano una probabile vittoria dei democratici alla Camera e un forte ridimensionamento della maggioranza repubblicana al Senato. Secondo Bush e i suoi, nei sessanta giorni che mancano all’apertura delle urne, la strada maestra per invertire la tendenza è ricordare la reale consistenza della minaccia islamista e gli impacci dei democratici. Questa volta non è detto che il piano funzioni, anche perché le elezioni di metà mandato solitamente non vengono decise da questioni di questo tipo, piuttosto dal giudizio che gli elettori intendono dare all’operato di chi è al potere. La sfida della Casa Bianca è proprio quella di evitare che le elezioni siano un referendum sul Partito repubblicano (che perderebbe) e di trasformarle in un voto di scelta tra chi ha una politica antiterrorismo rischiosa, costosa ma coerente e chi invece non ce l’ha.
Ogni volta che Bush spinge su questi temi, i liberal vanno in tilt. Una parte rumorosa e consistente del partito democratico fa inconsapevolmente il gioco di Karl Rove, minimizzando il pericolo islamista e accusando di mera propaganda la Casa Bianca. L’ala congressuale, invece, punta ad evidenziare le difficoltà irachene per sottolineare l’inefficacia della Casa Bianca e propone alternative strategiche in quattro punti che, l’altroieri, il capo dello staff del presidente, Joshua Bolten, ha spiegato essere per tre quarti già applicate dall’Amministrazione.
Gli strateghi della Casa Bianca hanno lavorato tutto luglio e agosto per lo showdown di questi giorni. In una settimana il presidente ha parlato tre volte, l’ultima ieri pomeriggio. La Casa Bianca ha anche presentato l’aggiornamento del documento “National Strategy for combating terrorism” che individua nella diffusione della democrazia e della libertà la principale arma a disposizione dell’occidente per vincere la guerra ideologica in medio oriente.
Ieri Bush ha presentato una legge che regola i processi ai terroristi, in risposta alle critiche della Corte suprema che aveva giudicato incostituzionali le commissioni militari create per giudicare i “nemici combattenti”. Bush ha annunciato che 14 alqaidisti reclusi in carceri segrete della Cia sono stati trasferiti a Guantanamo. Questa settimana sarà presentato anche il manuale con le nuove regole di interrogatorio dei terroristi.
A pochi giorni dal rifiuto iraniano all’ultimatum dell’Onu di sospendere l’arricchimento dell’uranio, le parole di Bush però non hanno soltanto effetti sulle elezioni di metà mandato americane. Indicano una possibile nuova direzione sull’Iran, malgrado fonti ufficiali della Casa Bianca ripetano che la strada maestra resta quella della diplomazia e di soluzioni condivise multilateralmente. John Podhoretz ha scritto che, se le parole di Bush hanno un senso, vogliono dire che dopo mesi di inutili e falliti tentativi diplomatici il presidente ha deciso di “togliersi i guanti” per fermare la minaccia iraniana. Bill Kristol, alla Fox News, ha avanzato l’ipotesi che il Congresso potrebbe votare una risoluzione di autorizzazione all’uso della forza in Iran, in modo da far giungere agli ayatollah una “minaccia credibile”. Altri senatori repubblicani chiedono ulteriori finanziamenti all’opposizione iraniana e ricordano che il “cambio di regime” deve partire dall’interno. Il paradosso è che se Bush non affronterà davvero l’Iran, nel 2008 i democratici si ritroveranno in mano la carta giusta per tornare alla Casa Bianca.

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