Questo giornale ha riconosciuto al governo italiano, e in particolare al suo ministro degli Esteri, l’indubbio successo diplomatico di essersi ritagliato un ruolo importante nello scenario mediorientale e di collegamento tra Europa e Stati Uniti riguardo la vicenda del Libano. Allo stesso modo ci siamo permessi di dubitare sulla visione dalemiana rispetto alla sfida jihadista, ammesso che di strategia ce ne sia una. E’ ottimo andare nel Libano del sud con gli auspici del popolo della pace e il voto dell’opposizione filoamericana, è fantastico rilanciare le relazioni transatlantiche ed è meraviglioso aver contribuito a convincere l’Onu a inviare per una volta le truppe in una zona di crisi. Ma il punto è: per fare che? Nessuno, né Palazzo Chigi né la Farnesina, ha avuto l’accortezza di spiegarcelo. E quando qualcuno d’area ci prova – come il presidente del Cespi, Silvano Andriani, ieri sull’Unità – è anche peggio: a suo dire, e al contrario di ciò che ha detto giovedì l’Onu, Teheran non viola nessun trattato sul nucleare, a differenza degli Stati Uniti. La visione strategica offerta dal centro studi vicino ai Ds è questa: “Sarebbe prova di saggezza riconoscere all’Iran il ruolo di grande potenza regionale”, non comprendendo così la natura rivoluzionaria e apocalittica del regime islamista di Teheran.
Come spesso capita quando a guidare le danze c’è Massimo D’Alema, si nota un abile uso della tattica (compresa la passeggiata a braccetto con un volenteroso cancellatore di Israele) e una cronica carenza di strategia. Dall’11 settembre di cinque anni fa, questo piccolo giornale d’opinione crede che il mantenimento dello status quo mediorientale, cioè l’appeasement nei confronti dei regimi dispotico-islamici e dell’ideologia guerrasantiera che li alimenta, non sia più un’opzione a disposizione dell’occidente. La migliore strategia, anzi per il momento l’unica, resta quella di un nuovo impegno occidentale per abbattere gli ostacoli politici, ideologici e religiosi che da sessanta anni impediscono ai mediorientali di vivere liberamente senza che nessuno li educhi ad amare la morte più della vita o che li istighi a tagliare la testa a crociati ed ebrei. Oggi questa strategia politico-militare è certamente in difficoltà, a causa della rappresaglia iraniana in Iraq e in Libano, ma almeno è una strategia. A complicare le cose è arrivato il redde rationem diplomatico sul nucleare iraniano, una sfida cominciata quando a Washington c’era Clinton e a Teheran governavano i cosiddetti moderati riformisti di Khatami sui quali ancora oggi la sinistra italiana continua a prendere un abbaglio. E’ una vecchia storia: nei conflitti ideologico-militari del passato, il mondo libero si è sempre confrontato con una parte di sé che non riusciva a riconoscere l’esistenza di un nemico, malgrado questi non nascondesse affatto le sue intenzioni. In questo caso sono farsi la bomba e distruggere Israele.
2 Settembre 2006