New York. Al cinema, in questi giorni, si scopre che Richard Nixon è in qualche modo responsabile dell’omicidio di John Lennon e che in America esistono le madrasse dove si educano i bambini a diventare guerrieri in nome di Cristo. Il documentario “The US vs. John Lennon” è campione d’incassi grazie alle splendide immagini e alla formidabile atmosfera anni Settanta che fa venire i lucciconi ai liberal di Manhattan. Gore Vidal se la prende anche con George W. Bush – figuriamoci – ma al di là della bizzarra tesi del complotto governativo anti Lennon è come se nessuno si ricordasse di quell’insignificante particolare cronologico delle dimissioni di Nixon datate 1973, ovvero sette anni prima che Mark Chapman premesse il grilletto davanti al Dakota building di New York.
“Jesus Camp”, invece, è il documentario che finalmente svela i piani segreti degli evangelici per conquistare la Casa Bianca, la Corte suprema e, infine, il mondo. Sì, d’accordo, in altre e recenti stagioni documentaristiche il progetto egemonico era a cura della lobby ebraica, ma quella giudaica in fondo è l’avanguardia intellettuale, mentre gli evangelici sono la manovalanza al servizio di Dio onnipotente e di suo compare Karl Rove per vincere le elezioni di metà mandato.
“Jesus Camp” racconta la storia di Becky Fischer, ministro pentecostale di un paesino del Missouri. E’ una donna solida, sorridente e ottimista che insegna ai bambini tra i sette e i tredici anni l’amore assoluto per Gesù Cristo e la gioia che si prova a diffondere la parola di Dio. Becky Fischer organizza un camp estivo in North Dakota, tra tutti i posti possibili proprio sulla sponda del Devil’s Lake. Il suo è un campo speciale, anche se il documentario non lo dice, radicalmente diverso dalle normali colonie estive organizzate dagli altri gruppi religiosi. Al campo di Becky Fischer, invece, i bambini vengono istruiti a diventare minipredicatori e piccoli sacerdoti. Il film ne segue due in particolare, un ragazzino di tredici anni e una bimba di dieci. Sono entrambi carini, svegli e simpatici. Come molti ragazzi evangelici dell’entroterra americano non frequentano le scuole pubbliche, ma studiano a casa con i genitori, i quali non si capacitano del fatto che la gente faccia figli per poi affidare la loro istruzione a estranei. Non insegnano l’evoluzione, ma il disegno intelligente (“noi crediamo di essere figli di Dio, loro ci vogliono convincere di essere animali”). Il surriscaldamento della terra viene liquidato come una questione politica sollevata dai non credenti per diffondere il credo laicista.
“Jesus Camp” documenta le intense giornate di preghiera, i seminari sulla Bibbia, le sessioni dove si invoca lo Spirito Santo che poi si concludono regolarmente con i bambini singhiozzanti e in lacrime in teoria di gioia, anche se l’impressione è che abbiano appena visto l’esorcista. Ci sono anche danze e i canti che rimandano a figure e ritmi marziali, perché “la Bibbia è piena di riferimenti bellici, ma è una battaglia interiore, dello spirito”. A tratti sembra un film di paura, non un documento su un gruppo di fondamentalisti che considera il mondo esterno travolto dal peccato. Detto questo, non si capisce che cosa facciano di male. In fondo si limitano a pregare, a parlare in lingue sconosciute con lo Spirito Santo e a solidificare le mura della loro comunità religiosa. Il documentario però suggerisce l’idea che da questo campo parta la battaglia politica degli evangelici per far crollare il muro di separazione tra stato e chiesa. C’è chi dice che queste sono le madrasse americane, i luoghi dove si alleva una generazione di fondamentalisti pericolosa come quella che esce dalle scuole coraniche del Pakistan. A uno dei seminari di Jesus Camp compare una figura a grandezza naturale di Bush e gli insegnanti invitano i bimbi a pregare per lui. L’aborto viene raccontato come il massacro di milioni di innocenti cominciato nel 1973 a causa di una sentenza della Corte suprema. Le due registe, Heidi Ewing e Rachel Grady, cercano di essere rispettose e infatti i capi del Jesus Camp invitano a vedere il film, al contrario dei maggiori gruppi evangelici. Il dito è puntato su Bush, quasi fosse lo strumento politico di questi fanatici. Sullo sfondo del film c’è infatti la nomina alla Corte del giudice conservatore Sam Alito. In realtà, Bush aveva scelto una sua poco qualificata sodale, Harriet Myers. La rivolta conservatrice l’ha convinto a nominare uno dei migliori giuristi della sua generazione.
6 Ottobre 2006