Milano. Ci si chiede spesso, a proposito di Hillary Clinton o di Barack Obama o di Rudy Giuliani, se l’America sia pronta a eleggere un presidente donna, nero o di origini italiane. Sia l’una sia le altre ipotesi sono di gran lunga più accettate nella cultura americana, anche quella più conservatrice e reazionaria, rispetto all’eventualità di avere alla Casa Bianca un comandante in capo di religione mormone. Non è un’ipotesi di scuola o detta così per dire, al contrario è uno degli scenari possibili del 2008, con la candidatura sempre più consistente, tra i repubblicani, di Mitt Romney, ovvero del governatore uscente del liberalissimo Massachusetts. La questione mormone è entrata nel dibattito politico e culturale americano in modo imprevisto. E’ cominciato tutto la scorsa stagione, quando la rete televisiva Hbo ha cominciato a trasmettere la serie di telefilm “Big Love”, ambientata in una famiglia poligama dello Utah. Lo show, da due settimane in onda in Italia su Fox Life, racconta la vita di un marito mormone, delle sue tre mogli e dei loro sette figli. La poligamia ha radici profonde nella storia dello Utah e nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, cioè dei mormoni, molto ben radicata in questo stato dell’interior west americano. I mormoni fondamentalisti credono che soltanto gli uomini che hanno vissuto con diverse mogli riusciranno a entrare in Paradiso, da qui la tradizione della poligamia in Utah. Sebbene la Chiesa mormone abbia ufficialmente abbandonato il culto della poligamia già nel 1890, proprio per far diventare lo Utah uno stato dell’Unione americana, nella zona sono ancora circa quarantamila le persone che vivono in comunità poligame. In teoria la poligamia è un reato, nello Utah come altrove, ma il procuratore generale ha scelto di non perseguirlo, vista l’impossibilità di arrestare 40 mila persone che, in fondo, non hanno fatto nulla di male. Le indagini dentro la vasta comunità poligama dello Utah rivelano che se qualcuno decidesse di far rispettare la legge potrebbero scoppiare rivolte violente e pericolose. Le autorità giudiziarie dello Utah, piuttosto, hanno deciso di tenere gli occhi bene aperti per evitare gli abusi e i numerosi casi di stupro nei confronti di minori, molto spesso legati alla pratica di combinare i matrimoni con ragazzine molto giovani. Uno dei casi di cronaca nera che tiene banco in questi giorni sui network è quello di Warren Jeffs, il capo della Chiesa fondamentalista mormone, arrestato con l’accusa di stupro per aver forzato una quattordicenne a sposare un cugino. Questo caso giudiziario rischia di cancellare tutta la simpatia che la comunità poligama, e mormone, s’è guadagnata grazie alle faticose avventure del protagonista maschile di Big Love. Resta il fatto che, per la prima volta, la comunità poligama ha cominciato a organizzarsi come un gruppo di pressione sul modello delle associazioni per i diritti dei gay. L’obiettivo è quello di decriminalizzare la bigamia. La prima regola dei gruppi di consapevolezza poligama – ha raccontato ieri il Washington Post – è quella di attenuare gli aspetti religiosi della poligamia, puntando sul desiderio di vivere in libertà. In questo modo i mormoni poligami, solidamente conservatori quanto a scelte politiche, sono riusciti a ottenere la solidarietà e il sostegno delle organizzazioni per i diritti civili, le quali mettono sullo stesso piano il diritto al matrimonio gay e la libertà di vivere con più d’una moglie. Il segno che la battaglia culturale può essere vinta è che i giornali cominciano a chiamare la poligamia in modo politicamente corretto: “matrimonio plurale”. A questo punto torna la questione Mitt Romney, un politico che avrebbe le carte in regola per vincere la nomination repubblicana e insediarsi alla Casa Bianca dopo Bush, se soltanto non fosse mormone. Un sondaggio dice che il 43 per cento degli americani non voterebbe mai un mormone, una percentuale simile a quella di chi sostiene che non voterebbe mai Hillary alla Casa Bianca. Religione a parte, infatti, Romney ha un curriculum formidabile: è stato eletto governatore in uno degli stati più di sinistra d’America, dove peraltro è riuscito ad approvare un sistema di copertura universale di assistenza sanitaria, ovvero il sogno infranto di Hillary Clinton al tempo della Casa Bianca. Romney è anche il più conservatore dei candidati repubblicani in campo per le presidenziali del 2008, sia sui temi sociali sia sulla guerra al terrorismo. Certamente è più a destra dei due front runners John McCain e Rudy Giuliani. Da mesi nei circoli politici conservatori non si parla d’altro che della questione mormone e le opinioni variano tra chi crede che gli evangelici non voteranno mai per un seguace di quella che viene considerata una “setta” e altri invece convinti che alla fine la destra religiosa troverà molti punti d’incontro con un uomo di fede, seppure diversa, come Romney. Gli avi di Romney avevano dieci mogli a testa, il bisnonno qualcuna di meno, ma oggi tra tutti i possibili candidati conservatori – McCain, Giuliani, Newt Gingrich e George Allen – l’unico ad aver avuto una sola moglie è proprio il mormone.
22 Novembre 2006