Milano. C’è chi dice che la nuova strategia bushiana per vincere in Iraq – attesa per metà gennaio – prenderà ampio spunto da un rapporto presentato ieri mattina all’American Enterprise Institute di Washington. Bush terrà conto, ovviamente, dei suggerimenti che gli arriveranno nelle prossime settimane dal nuovo capo del Pentagono Bob Gates e dal consigliere per la Sicurezza nazionale Stephen Hadley, dopo aver già sentito quelli dei militari in Iraq, dei diplomatici al dipartimento di stato e dei politici iracheni, ma sono le 52 pagine del testo intitolato “Choosing Victory: a plan for success in Iraq”, quelle da tenere d’occhio per immaginare le sue intenzioni. Bush aveva incontrato gli autori di questo rapporto lunedì alla Casa Bianca. Ieri Frederick Kagan (fratello di Robert) e l’ex capo di stato maggiore dell’esercito Jack Keane hanno reso pubblico il loro documento che è l’opposto ideologico del ben più pubblicizzato rapporto bipartisan Baker-Hamilton. Mentre quest’ultimo propone un cauto disimpegno dall’Iraq, l’accelerazione delle operazioni di addestramento dell’esercito di Baghdad e il coinvolgimento politico di Iran e Siria negli affari iracheni, le 52 pagine presentate ieri suggeriscono al presidente un piano militare dettagliato per cominciare a fare la guerra in Iraq, vale a dire a farla sul serio. I due autori invitano Bush ad aumentare le truppe, a combattere i terroristi sunniti, a depotenziare le milizie sciite sadriste, a liberare quartiere per quartiere le zone di Baghdad e della provincia di al Anbar, a tenerle sotto stretto controllo invece che andarsene via subito dopo come è stato fatto fin qui, e a cominciare immediatamente la ricostruzione dei servizi di prima necessità, fornendo ai comandanti militari americani sia i soldi sia l’autorità di spesa. Il piano prevede quattro fasi, da attuarsi in 18/24 mesi. La prima è quella del dislocamento delle nuove truppe, da completarsi entro marzo. La seconda è quella preparatoria dell’azione, entro giugno. La terza, entro settembre, è quella della liberazione dei quartieri in mano al nemico. L’ultima è quella del controllo delle aree liberate, della ricostruzione e della transizione al controllo iracheno.
Oggi a Baghdad ci sono 17.500 soldati combattenti, 35 mila si trovano subito fuori la città. Il rapporto individua i quartieri dove inviare le nuove truppe. L’idea è quella di avere, entro marzo, 35 mila truppe a Baghdad e 42 mila fuori, e di aumentarle entro settembre 2007 fino a 84 mila, equamente dislocate dentro e fuori la città. Il rapporto spiega, inoltre, che questi nuovi soldati non dovranno arrivare da altre zone dell’Iraq, ma da una maggiore frequenza dei turni di servizio. Più in generale, la proposta è di aumentare in modo permanente le dimensioni globali dell’esercito americano, a un ritmo di 30 mila tra soldati e marine all’anno per i prossimi due anni.
La via per la sicurezza di Baghdad e delle zone oggi controllate dai terroristi non sarà semplice, anzi molto probabilmente – ammette senza giri di parole il rapporto Kagan-Keane – farà aumentare le vittime americane e quelle irachene, porterà a un ulteriore incrudelimento delle stragi terroriste, potrebbe addirittura causare la caduta del governo Maliki e diffondere la percezione che gli americani abbiano deciso di prendere le parti degli sciiti contro i sunniti. Il rapporto fornisce una serie di raccomandazioni per scongiurare gli scenari più cruenti, ma in ogni caso prova a convincere il presidente della necessità di sconfiggere sul campo il nemico, al contrario di quanto è stato fatto finora. Gli esperti dell’American Enterprise partono da due presupposti. Il primo è che la situazione della sicurezza è terribile, al punto da rendere ininfluenti le conquiste politiche di questi anni. Il secondo è che un ritiro, quindi una sconfitta, peggiorerebbe la situazione. Fin qui gli americani hanno puntato sul processo politico-democratico, sull’addestramento dell’esercito e, soprattutto, su una “presenza leggera” delle forze americane (“light footprint”). Non ha funzionato. Il governo iracheno non è in grado di garantire la sicurezza, l’esercito è infiltrato da agenti dell’ex dittatore e gli sciiti non smantellano le milizie per paura di restare senza difesa.
15 Dicembre 2006