Camillo di Christian RoccaIl piano americano

Milano. George W. Bush comincia a delineare la nuova strategia militare e politica per vincere in Iraq che sarà presentata ufficialmente a gennaio, poco prima dell’annuale discorso sullo Stato dell’Unione. La Casa Bianca riconosce ormai da settimane, almeno dalla sconfitta alle elezioni di metà mandato, che a Baghdad gli Stati Uniti “non stanno vincendo e non stanno perdendo”, per cui ora si è convinta che per non perdere deve necessariamente elaborare un cambio di direzione. La chiave è quella della sicurezza in Iraq, al contrario del disimpegno suggerito dalla stimatissima, ma rigettatissima Commissione bipartisan guidata da James Baker. Contemporaneamente alla questione della sicurezza sulle strade irachene, verrà avviata una nuova iniziativa politica locale, centrata su un nuovo governo di unità nazionale e volta a escludere dalla coalizione gli elementi radicali sciiti, in particolare le milizie filoiraniane di Moqtada al Sadr. Ieri Bush ha tenuto la consueta conferenza stampa di fine anno, proprio mentre il nuovo segretario alla Difesa, Bob Gates, è sbarcato in Iraq per valutare di prima mano la situazione sul campo, in modo da suggerire al presidente le sue riflessioni.
Sul piano politico, un articolo pubblicato ieri mattina dall’International Herald Tribune ha riportato le dichiarazioni del grande ayatollah moderato d’Iraq, Ali Sistani, favorevole alla nuova coalizione di unità nazionale che dovrà prendersi cura politica della guida del paese. Bush non è entrato nei dettagli dei piani né militari né politici, ma ha lasciato intendere, anche in un’intervista al Washington Post, che da una parte chiederà un maggiore impegno agli amici iracheni e dall’altra che considera seriamente l’ipotesi di inviare più truppe a Baghdad. In più il presidente ha provato a rassicurare gli esperti e gli analisti militari, preoccupati sostanzialmente di due cose nel caso davvero la Casa Bianca decidesse di aumentare le truppe in Iraq. C’è chi sostiene da tempo che aumentare il numero dei soldati sul terreno, ma senza un preciso cambiamento di missione – che da sostegno e addestramento degli iracheni dovrebbe diventare forza di combattimento contro i terroristi – non solo non serve a nulla, ma potrebbe avere effetti controproducenti. A costoro Bush ieri ha risposto, assicurando che con la strategia e la tattica cambierà anche la natura della missione. L’altra preoccupazione, avanzata anche dal capo di stato maggiore Peter Schoomaker, è quella dell’esiguità numerica dell’esercito americano, oggi usato fino all’ultimo uomo. L’esercito di terra americano è composto da 507 mila soldati e da 180 mila marine. Questi numeri sono temporanei, perché sono stati raggiunti soltanto dopo la decisione del Congresso di ampliare, ma a tempo, la dimensione dell’esercito.
Da tre anni i democratici chiedono di assumere più soldati, ma il Pentagono high-tech di Rumsfeld si è sempre opposto, perché impegnato nella trasformazione tecnologica dell’apparato militare americano. John Kerry, nella campagna elettorale di due anni fa, aveva messo nel programma l’arruolamento di altri 40 mila soldati, ma Bush si era opposto. Ora la Casa Bianca ha cambiato idea e ieri ha ammesso di voler ampliare il numero dei soldati attivi, cominciando a rendere permanenti gli arruolamenti temporanei e poi a far entrare sette o diecimila nuovi cadetti l’anno. L’operazione costerà alle casse federali mille e duecento milioni di dollari l’anno per ogni diecimila soldati in più. I leader del Partito democratico, compreso Kerry, hanno salutato favorevolmente la decisione, ricordando che questa è la posizione del loro partito da due o tre anni, per cui Bush non dovrebbe avere problemi a ottenere il finanziamento della spesa.
La svolta della Casa Bianca segna il capovolgimento della rivoluzione rumsfeldiana. Bob Gates è favorevole ad aumentare la dimensione dell’esercito e ora dovrà sostituire il dimissionario capo del Centcom John Abizaid, il generale che per Rumsfeld ha disegnato le strategie militari in Iraq degli ultimi tre anni. Insieme con il generale George Casey, Abizaid è il teorico della presenza leggera e della trasformazione dell’esercito americano in forza di addestramento delle nuove forze di sicurezza irachene. I generali ideologicamente d’accordo con la svolta sono Peter Chiarelli e David Petraeus. Saranno loro a guidare il secondo tempo della guerra in Iraq.

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