Camillo di Christian RoccaLa Commissione Potemkin

Milano. Ieri è stato presentato il rapporto della Commissione bipartisan Baker/Hamilton sulla situazione in Iraq. Poche le novità rispetto alle anticipazioni di stampa dei giorni scorsi. Il gruppo Baker/Hamilton propone principalmente due cose: una nuova e più decisa azione politico-diplomatica in Iraq e nella regione mediorientale e un cambio della missione primaria della forze americane in Iraq che consenta a Washington di cominciare a muovere fuori dal paese le truppe statunitensi, ma in modo responsabile: “Crediamo che queste due raccomandazioni siano ugualmente importanti e che si rafforzino a vicenda – si legge nel testo – Se saranno attuate in modo efficace e il governo iracheno farà passi avanti verso la riconciliazione nazionale, allora gli iracheni avranno l’opportunità di un futuro migliore, il terrorismo subirà un colpo, la stabilità di un’importante regione del mondo migliorerà e la credibilità, gli interessi e i valori dell’America saranno meglio protetti”. L’idea, quindi, è quella di trasferire la responsabilità delle attività di combattimento dagli Stati Uniti all’esercito iracheno, ritagliando alle truppe americane il ruolo di istruttori degli iracheni. Rimarrebbero, comunque, settantacinquemila soldati americani a protezione e pronti a intervenire. Il rapporto non prevede date di ritiro certe e specifica che il cambio della missione americana dovrà cominciare soltanto se le condizioni sul terreno lo permetteranno. L’Iraq Study Group è consapevole che “non c’è una strada che possa garantire successo”, ma crede che “le prospettive possano migliorare” rispetto a una situazione che oggi è “grave e in via di deterioramento”.
Bush ha assicurato che leggerà il testo e le 79 raccomandazioni e ha chiesto ai repubblicani e ai democratici del Congresso di trovare un modo condiviso per affrontare la questione.
(segue dalla prima pagina) La Commissione Baker non chiede di abbandonare i sogni democratici in Iraq. Non dice che a Baghdad c’è una guerra civile. Baker e i suoi onorevoli colleghi spiegano che è meglio non dividere il paese. Il rapporto non suggerisce a Bush di ritirare le truppe americane, anzi ribadisce che un rientro repentino scatenerebbe “un bagno di sangue” e “un conflitto regionale”. Chiede, piuttosto, di aumentare il numero degli istruttori americani per l’esercito iracheno. Se le condizioni sul terreno lo permetteranno, gli istruttori rimpiazzeranno la metà dei 140 mila soldati oggi presenti in Iraq, ma il rapporto dice anche (a pagina 73) che “potremmo, comunque, sostenere uno spostamento o un aumento di breve periodo di forze combattenti americane per stabilizzare Baghdad o accelerare la missione di addestramento”.
Le 160 pagine del rapporto (96 più le appendici) dicono di essere d’accordo con l’obiettivo strategico sull’Iraq fissato da Bush, quello cioè di un Iraq che “si autogoverni, si autosostenga e si autodifenda”. Non c’è, quindi, l’inversione di rotta strategica e ideologica invocata dagli avversari della dottrina Bush, quella svolta che qualche giorno fa il presidente aveva definito “unrealistic” in una conferenza stampa congiunta col premier iracheno al Maliki. Nella sezione “Raggiungere i nostri obiettivi”, a pagina 40 del rapporto, c’è scritto che, a parere dell’Iraq Study Group, l’Iraq dovrà diventare “un governo ampiamente rappresentativo che mantenga la sua integrità, sia in pace con i suoi vicini, neghi ai terroristi un rifugio e non terrorizzi il proprio popolo”. C’è l’idea di porre pressione sul governo iracheno, imponendo scadenze precise per ottenere i risultati politici e di sicurezza necessari a migliorare la situazione, un’altra idea già in atto da mesi ma, in questo caso, accompagnata dalla minaccia di ridurre l’impegno politico, militare ed economico americano in caso di mancato raggiungimento. In generale non sembra che il testo dei dieci saggi di Baker abbia un approccio molto diverso da quello ideato da Rumsfeld e applicato in questi mesi con i risultati che conosciamo.
Sul fronte diplomatico c’è la richiesta precisa di impegnarsi sul conflitto arabo-israeliano, limitandosi a coinvolgere i paesi della regione e soltanto quei palestinesi “che riconoscono a Israele il diritto di esistere” (finanche Baker chiude le porte ad Hamas). Sull’Iraq, il rapporto chiede di avviare trattative con Iran e Siria, ovvero con chi – secondo Baker and Co. – ha interesse alla stabilità irachena. Ma i grandi vecchi della Commissione sono consapevoli che l’Iran “potrebbe benissimo dire di no”, come ha ammesso candidamente Baker alla conferenza stampa di ieri a Capitol Hill.
Questa della conferenza regionale, in fondo, è l’unica vera differenza di approccio tra il rapporto Baker e la dottrina Bush, sebbene i saggi dell’Iraq Study Group abbiano voluto specificare che la questione del nucleare iraniano sarà meglio che resti fuori dalla trattativa sull’Iraq, neanche fosse una robina da niente. Ancora l’altro ieri, in un’intervista a Brit Hume della Fox News, Bush ha ribadito che Iran e Siria sono parte del problema in Iraq, non della soluzione, però è possibile che su questo punto – a partire dalla richiesta avanzata dal premier iracheno – si possa trovare una mediazione.
Lo sanno anche i saggi della Commissione Baker che iraniani e siriani sono parte del problema, tanto da scrivere – nelle raccomandazioni numero 11 e 12 – che “l’Iran deve fermare il flusso di equipaggiamento, tecnologia e addestramento ai gruppi che in Iraq si dedicano alla violenza” e che la Siria deve “controllare i propri confini con l’Iraq” per “aiutare a fermare il flusso di soldi, uomini e terroristi dentro e fuori l’Iraq”.
Secondo il direttore del Weekly Standard, Bill Kristol, il rapporto Baker “non è un documento serio, anzi è un testo profondamente irresponsabile”. Kristol dice che il rapporto pretende di spostare l’attenzione sulla velocità necessaria a cambiare il ruolo delle truppe americane, da forze di combattimento a istruttori degli iracheni. Questo, secondo Kristol, non è un piano per vincere in Iraq, ma un modo bipartisan per “mitigare la sconfitta”. Kristol nota, infatti, che le due vere opzioni sul campo – aumentare le truppe per sconfiggere i nemici o ritirarsi e tornare a casa – nel rapporto sono state liquidate in due paginette (15 righe l’una e 14 l’altra). In totale il rapporto Baker contiene 79 raccomandazioni al potere esecutivo e legislativo americano per provare a migliorare la situazione sul campo. Tattica, poca strategia. Di più. L’introduzione dei due presidenti, le conclusioni del rapporto e l’analisi sullo stato della situazione sul campo – ovvero i primi tre documenti del testo presentato ieri – mettono le mani avanti e specificano che non esistono formule per risolvere i problemi dell’Iraq. Insomma sono loro stessi, gli autori delle raccomandazioni, a non essere sicuri che questi suggerimenti avranno successo.
In compenso la vendita del prodotto mediatico “Commissione Baker” funziona benissimo, tanto che il risultato più probabile di questo rapporto sembra poter essere quello di pacificare Washington, più che Baghdad. I dieci autorevoli membri della Commissione sono richiestissimi dai talk show. James Baker e Lee Hamilton, i due presidenti del qualificato consesso, si sono fatti fotografare da Anne Leibovitz per Men’s Vogue e, infine, il volumetto che raccoglie il rapporto è già pronto per la vendita in libreria per le edizioni Random House. Anzi, per provare a ripetere il fantastico successo del Rapporto della Commissione indipendente sull’11 settembre, la grafica della copertina è chiaramente ispirata a quel testo.
La vaghezza dei suggerimenti del gruppo Baker ha consentito a Bush di evitare commenti sul “non realistico” tentativo di abbandonare l’Iraq, anzi il presidente ha ringraziato i saggi e promesso che leggerà le raccomandazioni con attenzione e il più presto possibile. Perfino un ex membro della Commissione Baker, il prossimo capo del Pentagono Bob Gates, ha detto che il lavoro dei suoi ex compagni è importante, ma “non l’ultima parola sull’Iraq”. Ci fosse in giro il ragionier Fantozzi, giungerebbe alla conclusione che, in fondo, la potentissima, stimatissima e riveritissima Commissione Baker è un po’ come la Corazzata Potemkin: una boiata pazzesca.

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