Quanti anni sono passati, cinque? Bene da cinque anni, ogni due o tre settimane, i giornali americani – e molto, ma molto di più quegli italiani – ci raccontano nell’ordine che George W. Bush sta per cambiare idea e che la cabala dei neoconservatori sta per chiudere bottega. Sono passati cinque anni e siamo ancora qui, Bush non cambia marcia e le idee dei neocon restano sempre l’unica strategia realistica possibile per sconfiggere l’ideologia dei terroristi islamici, resa a parte. Ieri è stato un giorno esemplare sotto questo punto di vista. Siamo alla vigilia della presentazione del famoso rapporto Baker sull’Iraq, lodato dalla stampa (e dagli anti Bush) come la ricetta realista da seguire per non restare impelagati in Iraq. Bush riceverà il documento oggi pomeriggio alla Casa Bianca, ma le ampie anticipazioni che hanno riempito i giornali in queste settimane (ritiro graduale dall’Iraq, addio ai sogni democratici e coinvolgimento di Iran e Siria) sono state rigettate in modo netto e chiaro dal presidente: “Unrealistic”, le ha definite Bush. C’erano pochi dubbi, ma Bush l’ha spiegato a Riga, in Lettonia, l’ha ripetuto ad Amman, in Giordania, e ieri sera l’ha ribadito nel modo più chiaro possibile alla Fox: non cambia strategia, non si ritira dall’Iraq fin quando gli iracheni non saranno in grado di fare da soli, non parla con gli ayatollah atomici se non rinunciano alla Bomba. Ascolterà con attenzione i suggerimenti di Baker, a cui un anno e mezzo fa ha dato il suo beneplacito e con cui ha collaborato alacremente, ma si fida molto di più dei suoi generali e dei leader democratici iracheni. Strategia ribadita ieri al Senato dal neo segretario alla Difesa, Bob Gates, il quale pare che la pensi in modo diverso ma promette di fare ciò che gli dice il presidente.
Eppure i giornali americani annunciano che Bush cambierà strategia e quelli italiani che i neoconservatori sono morti per la sessantesima volta, seppellendo peraltro le persone sbagliate e senza aver mai dato la notizia che le 59 volte precedenti evidentemente devono essere risorti se sono ancora qui pronti a morire. Le copertine di questa settimana delle due principali riviste americane, Time e Newsweek, segnalano perfettamente questa schizofrenia nel cercare un cambiamento di strategia che Bush giura di non volere. La cover di Time annuncia che “l’Iraq Study Group dice che è l’ora di una exit strategy. Ecco perché Bush ascolterà”. Newsweek, invece, dice esattamente il contrario: “Convincere Bush ad ascoltare e a cambiare corso, sarà molto difficile”.
Corriere della Sera e Repubblica hanno raccontato, sempre ieri, la morte dei neoconservatori, questa volta impersonati da John Bolton e dalle sue dimissioni da ambasciatore americano alle Nazioni Unite. Peccato che Bolton sia un uomo di Dick Cheney e, semmai un ex collaboratore proprio del realista Baker, ma non è servito a niente. Bolton, in effetti, ha servito l’Amministrazione attuando le idee care ai neocon, ma ai nostri giornali sfugge che possa averlo fatto perché gliel’ha chiesto Bush. E, infatti, malgrado l’articolo di Alberto Flores D’Arcais fosse perfetto, Repubblica ha titolato “Bush perde un altro neocon”. Niente, rispetto al “neocon convinto” che gli affibbia il Corriere della Sera. Sul giornale milanese, in realtà, c’erano strafalcioni peggiori in questa assurda corsa italiana a etichettare e indicare al pubblico ludibrio la lobby dei cattivi, fatti fuori i quali il mondo tornerà sereno e pacifico. Non solo l’aver fatto entrare nel gruppo anche Donald Rumsfeld né l’aver definito “politico” uno come Lewis Libby che non s’è mai candidato a niente. Nella mappetta del Corriere, tra le riviste neoconservatrici ce ne sono anche una di sinistra, una paleo-conservatrice e una chiusa da tempo. Irving Kristol è diventato direttore di Commentary, anche se al massimo ne è stato caporedattore, mentre a suo figlio Bill sono stati tolti i gradi di direttore del Weekly Standard. Un altro segnale del tramonto dei neocon.
6 Dicembre 2006