Ogni tanto lo leggete su Repubblica, tutte le settimane sulla pagina degli editoriali del New York Times. Paul Krugman è il più influente opinionista economico d’America. In realtà è un accademico, roba da Nobel, uno che ama autodefinirsi “una voce solitaria di verità in un mare di corruzione”, a patto che non gli si ricordi il passato da consigliere di Enron a 50 mila dollari annui. Krugman era pronto a fare il consigliere economico di Bill Clinton, poi il presidente scelse un altro, facendo la sua fortuna. Ora Krugman è un editorialista-rock star, grazie alla sua straordinaria capacità di spiegare in modo semplice i fatti dell’economia. C’è un solo problema a questo quadretto: Krugman non ne azzecca mai una e non le azzecca perché è accecato dall’odio nei confronti di Bush. Settimana dopo settimana, annuncia catastrofi economiche che poi regolarmente non si verificano, e poi disastri finanziari, crolli d’occupazione, cali dei salari, recessioni e qualsiasi altra cosa che possa essere imputata alle politiche di Bush. L’Economist l’ha definito “una specie di Michael Moore, però pensante”, mentre il sito Lying in Ponds che valuta la partigianeria degli editorialisti lo mette al secondo posto assoluto, prima di una testa matta come Ann Coulter. Più volte il Garante dei lettori del New York Times lo ha invitato a rettificare i suoi editoriali, ma lui ha continuato ad attribuire tutti i mali del mondo, economici e no, a Bush. Quando la Corea del nord fa un test atomico, lui scrive che la colpa è del presidente, del presidente americano. Se il premier malese Mahathir Mohamad fa un discorso antisemita, Krugman dà la colpa alla Casa Bianca e si dimentica di ricordare di aver lavorato per Mahathir. La politica economica di Bush è il suo cruccio e la sua tragedia. A ogni dato positivo dell’economia , Krugman si arrampica fino a trovare un modo geniale, da Nobel, per dire che no, in realtà, quei 7,2 milioni di nuovi posti di lavoro creati in tre anni non significano nulla. I tagli fiscali avrebbero, secondo Krugman, condotto all’Apocalisse finanziaria, ora l’ufficio budget del Congresso ha spiegato che nel 2012 tornerà il surplus di bilancio. Nel 2003 ha predetto la recessione, così come nel 2004, nel 2005 e nel 2006. E’ successo l’opposto, l’economia americana cresce a un ritmo superiore a quella di qualsiasi altro paese del G7, malgrado la paurosa crisi strutturale del mercato automobilistico. I profitti industriali aumentano a doppia cifra, gli scambi commerciali vanno una meraviglia, il petrolio scende, la disoccupazione è al minimo storico del 4,5 per cento. Nemmeno Krugman, per dire, ha perso il lavoro.
26 Gennaio 2007