Non c’è una formula esatta per diventare leader di uno schieramento politico, specie quando in carica c’è un capo ricco, carismatico e apparentemente insostituibile come Silvio Berlusconi. Le vie principali per la costruzione della leadership sono due: fare da spalla al capo supremo, nella speranza di essere scelto come erede designato (modello Vladimir Putin), oppure distaccarsene lentamente e tentare di fare da solo (modello Pierferdinando Casini).
C’è una terza via che può essere utile a Gianfranco Fini, visto che fin qui il presidente di Alleanza Nazionale sembra aspirare alla guida futura del centrodestra mantenendo una certa autonomia da Berlusconi, ma senza alcuna pretesa di pugnalarlo alle spalle. Il modello possibile è quello di Newt Gingrich, l’ex stratega della rivoluzione conservatrice americana che portò nel 1994 il partito repubblicano a conquistare per la prima volta in quarant’anni la maggioranza alla Camera di Washington. In passato Gingrich è stato un modello anche per Silvio Berlusconi, avendo vinto le elezioni del 1994 grazie al famoso “Contratto con l’America” che, nel 2001, è stato importato in Italia dal fondatore di Mediaset col nome di “Contratto con gli italiani”.
Newt Gingrich oggi è uno dei tanti candidati ufficiosi del partito repubblicano alle elezioni presidenziali del 2008. A differenza dei favoriti John McCain e Rudy Giuliani nega di essere interessato alla Casa Bianca, malgrado stia organizzando un movimento politico radicato in ogni angolo del paese. “McCain e Giuliani sono ottime persone – spiega Gingrich – ma non siamo nello stesso business: loro si candidano alla presidenza, io mi candido a cambiare il paese”. L’ex Speaker apparentemente si occupa d’altro, soprattutto di riforma del sistema sanitario, e ha appena lanciato un centro di studi e di azione politica, “American Solutions for Winning the Future”, che produce idee e soluzioni per i problemi sociali e le sfide future degli Stati Uniti. La sua idea è quella di creare un’ondata di nuove idee riformatrici, anzi rivoluzionarie, per influenzare l’intero sistema americano: “Questo movimento offrirà una serie di soluzioni per vincere il futuro così potenti e persuasive che se gli americani diranno che dovrò essere io il presidente, be’, allora vorrà dire che accadrà”. Gingrich, insomma, gioca la sua partita per la leadership americana puntando sulle idee, anziché sul teatrino della politica. E si ritaglia il ruolo di candidato restio-a-scendere-in-campo-ma-fondamentale-e-decisivo-per-i-tempi-in-cui-viviamo (la definizione è della rivista Fortune). Sarebbe un’ottima soluzione anche per la successione nel centrodestra italiano, sempre che gli aspiranti successori del Cavaliere abbiano in mente qualche idea.
1 Gennaio 2007