A Washington un inizio dell’anno all’insegna dell’Iraq, naturalmente. Il 10 gennaio è la data (ufficiosa) prevista dalla Casa Bianca per il discorso con cui il presidente George W. Bush presenterà al paese la sua nuova strategia militare per Baghdad, caratterizzata quasi sicuramente da un aumento delle truppe combattenti americane. I democratici, ma anche qualche repubblicano, provano a contrastare il piano della Casa Bianca. In prima fila c’è Joe Biden, il senatore del Delaware che ha annunciato la candidatura alle primarie democratiche per la Casa Bianca. Il 9 gennaio, proprio il giorno precedente il discorso di Bush, la commissione Esteri del Senato di cui Biden è presidente comincerà tre settimane di audizioni sulla guerra in Iraq. Biden ha chiesto, tra l’altro, la testimonianza di Condi Rice, mentre Richard Lugar, un conservatore tradizionale mai entusiasta della dottrina Bush, ha chiesto al presidente di consultarsi col Congresso prima di presentare la nuova strategia per l’Iraq. Della commissione Esteri del Senato fanno parte sei possibili pretendenti alla Casa Bianca nel 2008, i democratici Biden, John Kerry, Barack Obama, Christopher Dodd e Russ Feingold e il repubblicano Chuck Hagel. Tutti e sei sono contrari all’aumento delle truppe in Iraq.
Sebbene non ci sia bisogno di un lasciapassare congressuale, il columnist conservatore Bob Novak ha segnalato che sono soltanto dodici, a oggi, i senatori repubblicani favorevoli all’aumento delle truppe in Iraq. Se ne è reso conto John McCain, capo di una delegazione che prima di Natale è volata fino a Baghdad per valutare la situazione. L’unico democratico a sostenere l’aumento delle truppe è Joe Lieberman, il quale ha anche scritto un editoriale sul Washington Post per motivare le ragioni del suo sostegno. Questa strategia dell’aumento delle truppe, in realtà, è il cavallo di battaglia del principale candidato repubblicano alla presidenza, John McCain, al punto che un altro contendente alla Casa Bianca, il democratico John Edwards, domenica mattina, in televisione, ha definito “dottrina McCain” l’idea di inviare più truppe in Iraq. Anche Hillary Clinton è contraria all’aumento dei soldati a Baghdad, ma si tiene più cauta rispetto ad Edwards e, soprattutto, a Barack Obama. Il senatore dell’Illinois, a differenza di Clinton, Edwards, Kerry e Biden, è l’unico dei contendenti democratici alla Casa Bianca a non aver votato, ed essere stato sempre contrario, alla guerra in Iraq. Due giorni fa, Obama ha scritto sul suo sito un intervento per motivare la sua contrarietà all’aumento delle truppe. “I nostri soldati non sono numeri da aggiungere soltanto perché qualcuno non è riuscito ad avere un’idea migliore” è il tono della lettera di Obama.
I primi sondaggi di inizio anno per la Casa Bianca confermano che John McCain e Hillary Clinton sono in testa alle scelte degli elettori dei rispettivi partiti in New Hampshire, il primo degli stati americani a tenere, tra 13 mesi, le elezioni primarie. McCain avrebbe il voto del 29 per cento dei repubblicani, seguito da Rudy Giuliani col 25, dall’ex speaker della Camera, Newt Gingrich, con 14 e dall’ex governatore del Massachusetts Mitt Romney col 9 per cento. Secondo l’American Research Group che ha condotto il sondaggio, Hillary ha il 27 per cento dei voti democratici, Obama il 21, Edwards il 18, mentre nessuno degli altri 8 possibili candidati è riuscito a ottenere più del 6 per cento. Le buone notizie per Hillary finiscono qui. Un altro sondaggio, del Concord Monitor, riduce il vantaggio di Hillary a un solo punto su Obama. In Iowa, invece, dove il 14 gennaio 2008 comincerà il processo di selezione dei candidati alla Casa Bianca con il caucus, l’ex first lady sarebbe soltanto al quarto posto, con solo il 10 per cento dei voti, probabilmente a causa della sua opposizione agli aiuti federali all’etanolo come forma energetica alternativa. L’etanolo si estrae dal grano e dal mais, la cui coltivazione è la principale attività dell’Iowa.
Dopodomani Nancy Pelosi giurerà come speaker della Camera. La nuova leader ha già un piano legislativo per le prime 100 ore – aumento del salario minimo, limitazione del potere dei lobbisti, riduzione dei costi familiari per università e sanità, fine degli incentivi alle società petrolifere, finanziamento della ricerca sulle staminali. Due promesse elettorali, però, sono state già messe da parte: di adottare le misure suggerite dalla Commissione sull’11 settembre non si parla più, mentre l’idea di trasformare Capitol Hill in un Congresso “aperto e trasparente” dovrà fare i conti col no secco opposto alla rete tv C-Span che aveva chiesto maggiore libertà di inquadrature durante la ripresa delle sedute della Camera.
2 Gennaio 2007