Camillo di Christian RoccaLo stato del partito repubblicano e la straordinaria lezione giornalistica di Fox News

New York. Avreste dovuto vederlo, il dibattito tra i dieci candidati repubblicani alla Casa Bianca 2008. Il confronto – il secondo in quindici giorni e ce ne sarà un terzo tra due settimane – si è tenuto martedì sera a Columbus, in Carolina del sud. Avreste dovuto seguirla questa forma di improvvisazione jazz, questa costruzione istantanea di un nuovo partito, di una nuova coalizione, di un nuovo paradigma politico in diretta tv. Il dibattito tra i dieci è cominciato fiacco e formale come il precedente in California e non è sembrato diverso dal simile incontro tra gli otto candidati democratici di fine aprile. Poi, grazie ai giornalisti di Fox News, si è improvvisamente acceso, i candidati sono stati invitati ad abbandonare i discorsetti accuratamente preparati dagli strateghi e sono stati costretti a mostrarsi, a spiegare fuor dal politichese che tipo di presidente vorranno essere e come immaginano il futuro della Right Nation americana. Qui va aperta una parentesi, su Fox News. Tra l’élite intellettuale americana, e di rimbalzo sui giornali europei, la Fox è giudicata, quando si è in vena di smancerie, come un’organizzazione fiancheggiatrice dei repubblicani. Gli opinionisti del canale di Rupert Murdoch tendono a destra, senza dubbio, esattamente come la Cnn e la Msnbc, i due concorrenti, sono liberal e di sinistra. Con questo pregiudizio, dunque, qualcuno si aspettava un dibattito presidenziale moderato con domande soffietto, assist a porta vuota e pistole caricate per sparare pallettoni su Hillary e Obama. Invece è andato in onda il più straordinario segmento giornalistico televisivo degli ultimi anni. Le domande erano perfette, tostissime, tese a estrarre dal candidato ciò che tutti volevano sapere. In ballo, per i dieci sul palco, non c’era soltanto la candidatura alle presidenziali, ma anche la leadership del partito e l’essenza del nuovo movimento conservatore. Ne è venuto fuori un quadro ancora non perfettamente definito, ma dalle risposte fornite già si possono intuire alcune caratteristiche del nuovo Partito repubblicano. Ascoltando le proposte dei dieci candidati, viene fuori quello che nei medesimi circoli dove si considera parafascista Fox News non si è mai voluto riconoscere, cioè che George W. Bush è il leader più moderato e centrista a disposizione della Right Nation. L’essenza del suo conservatorismo compassionevole – una specie di destra solidaristica che punta sul taglio delle tasse per alimentare l’economia e su un mix tra spesa pubblica sociale e aiuti alle attività caritatevoli private per correggere le iniquità del mercato – non è nel programma di nessuno dei candidati alla sua successione. Quanto all’altra caratteristica, chiamiamola “liberal” o “neocon”, del Bush post 11 settembre, quella della promozione della democrazia in medio oriente come strumento primario per garantire la sicurezza nazionale, nelle parole dei dieci repubblicani sembra essersi affievolita. Il caos iracheno, e la scarsa popolarità di Bush, ovviamente contano, ma non si è assistito al ripudio del bushismo e della sua strategia di sicurezza nazionale. Al contrario, nove candidati su dieci (il decimo è il bizzarro deputato libertario del Texas, Ron Paul) sono molto più falchi dell’attuale presidente sulle questioni militari e di difesa e lo sono su tutti i punti che in questi anni hanno fatto discutere mezzo mondo: sull’Iraq, sull’Iran, sulle azioni belliche preventive, sull’unilateralismo, sull’ininfluenza dell’Onu, sulle carceri speciali e sulla tortura dei terroristi nel caso limite e di scuola in cui si viene a sapere con certezza che la persona catturata ha le informazioni necessarie a poter fermare un attentato in corso contro una città americana. E’ stato proprio l’unico oppositore dell’attuale linea Bush sull’Iraq, Ron Paul, a ricordare agli americani che il Partito repubblicano è il partito isolazionista per eccellenza, quello che ha nel suo Dna il non impicciarsi negli affari politici e militari altrui, quello che tradizionalmente viene premiato dagli elettori per porre fine, con Dwight Eisenhower, alla guerra in Corea cominciata dal democratico Harry Truman, e per ritirare con Richard Nixon le truppe dal Vietnam, il cui intervento militare era stato deciso dalla coppia democratica John Kennedy-Lyndon Johnson. Paul è stato al centro del momento più duro del dibattito, quando ha detto che i terroristi non attaccano l’America perché odiano la sua ricchezza o la sua libertà, piuttosto perché l’America si impiccia degli affari loro. Giuliani ha chiesto brutalmente al deputato di ritirare ciò che aveva detto, ma Paul è rimasto sulle sue posizioni. Questo Partito repubblicano tradizionale non c’è più, cambiato definitivamente dall’11 settembre e dalla dottrina Bush. La differenza è che nessuno dei nuovi possibili leader parla apertamente di promozione della democrazia e di diffusione della libertà, cioè della componente liberale e di sinistra della visione mondiale di Bush. I possibili successori si limitano ad affrontare la guerra in Iraq e la battaglia contro il fondamentalismo islamico come una pura questione di sicurezza nazionale, da risolvere con più durezza, decisione e competenza di quanto ce ne abbia messe Bush. Rudy Giuliani, John McCain e Mitt Romney – secondo i sondaggi i numero uno, due e tre della squadra repubblicana – non hanno ceduto un millimetro sull’Iraq, sulla necessità di combattere lì i terroristi anziché a casa, sull’impossibilità di lasciare Baghdad prima che gli iracheni siano in grado di autogovernarsi e difendersi da soli. Anche gli altri sei, con qualche differenza di tono, sono sulla stessa linea: nessuno esiterebbe a usare la forza americana in modo unilaterale contro un paese nemico responsabile di aver aiutato e sostenuto i terroristi, nessuno chiederebbe il permesso alle Nazioni Unite, nessuno userebbe per queti compiti un numero limitato di truppe come ha fatto Bush. Quanto alle carceri speciali per i nemici combattenti, Mitt Romney ha proposto di raddoppiare Guantanamo, di aprirne perlomeno un’altra e di essere felice che questi terroristi stiano senza diritti in una base situata in un paese straniero. Alla domanda su quali strumenti interrogativi, in caso di elezione, ciascun candidato consentirebbe agli agenti Cia o Fbi per ottenere dal terrorista catturato le informazioni necessarie a sventare un imminente attentato, la risposta più in linea col sentimento comune è stata quella del deputato del Colorado Tom Tancredo: “Chiamerei Jack Bauer”, l’eroico protagonista della serie televisiva “24”, uno che usa sparare sopra il ginocchio del sospetto prima ancora di fargli la prima domanda. Rudy Giuliani ha detto che autorizzerebbe gli agenti sul campo a prendere tutte le decisioni che loro reputassero necessarie a far parlare il terrorista. Finanche John McCain – l’unico ad aver spiegato con passione che l’uso della tortura è esattamente ciò che ci differenzia dai nostri nemici – ha detto che in una situazione limite di questo tipo si prenderebbe la responsabilità, che comunque spetta soltanto ed esclusivamente al presidente degli Stati Uniti. Sugli altri grandi temi, la nuova destra americana è solidamente ancorata al dogma bushiano del taglio delle tasse, ma al contrario di Bush vuole tagliare anche i costi di esercizio del governo federale. C’è chi vuole chiudere tre o quattro ministeri (il solito Paul), chi semplicemente ridurre la presenza dello stato. Comunque vada, se ci sarà ancora un repubblicano alla Casa Bianca, difficilmente governer&agrav
e; col deficit, come ha fatto Bush. Questo vuol dire che iniziative solidaristiche e assistenziali, come i soldi alle scuole pubbliche (No child left behind) e le medicine agli anziani (Medicare) saranno ritirate, certamente non ripetute in altri settori. Anche sull’immigrazione c’è un chiaro spostamento a destra dell’asse politico repubblicano, sebbene i due favoriti, Giuliani e McCain, condividano la linea Bush (e Ted Kennedy) di rafforzare il controllo ai confini e regolarizzare, temporaneamente, i clandestini che già lavorano negli Stati Uniti. Gli altri sono su posizioni paraleghiste, favorevoli a costruzioni di muri oppure contrari a premiare i clandestini rispetto agli altri stranieri che si sono messi in coda per ottenere la cittadinanza senza aver violato la legge. Tom Tancredo, il più duro con l’ex sindaco di San Diego Duncan Hunter, ha accusato Giuliani di essere soft, debole, su questi temi. Giuliani, fama da duro, da eccessivamente duro sulle questioni di sicurezza e criminalità, l’ha presa a ridere: “In 22 anni, non mi aveva mai detto nessuno che sono soft su qualsiasi cosa”. Giuliani s’è dovuto difendere anche sull’aborto, sul sostegno ai diritti gay, sulle limitazioni del diritto di portare le armi. In un primo momento ha provato a sviare spiegando che il problema, oggi, non sono le sue posizioni su questo o quel tema, ma il pericolo che possa vincere Hillary Clinton. Il messaggio era chiaro alla base evangelica del partito: abbiamo idee diverse su alcune cose, ma insieme dobbiamo evitare l’elezione di Hillary. Pressato dalle domande di uno dei conduttori (“sindaco, le concedo altri 30 secondi, così almeno potrà rispondere alla mia domanda”), ha spiegato come si possa perfettamente conciliare l’odio per l’aborto, e l’impegno per ridurne la pratica, con l’essere favorevole al diritto di scelta della donna. Il peculiare conservatorismo di Giuliani – liberale sulle questioni etico e sociali, liberista su quelle ecomomiche, “legge e ordine” sulla sicurezza nazionale e nazionalista in politica estera – è uscito rafforzato dal dibattito di martedì. Anche McCain, tra tutti il più vicino a questa nuova curvatura del partito repubblicano, è andato bene. Su loro due pesa ancora l’ombra di ulteriori candidature dell’ultimo minuto. L’ex speaker della Camera Newt Gingrich, un visionario conservatore che piace alla base sociale del partito, ha detto che una sua discesa in campo è molto probabile. Vincesse Gingrich, ci sarebbe un ulteriore spostamento a destra del partito. Al momento l’unico in grado di poter competere con Giuliani (e McCain) è l’attore, ed ex senatore, Fred Thompson, il quale potrebbe annunciare la candidatura entro un mese. Il suo conservatorismo non sarebbe diverso da quello di Giuliani, ma nei suoi confronti la destra religiosa sembra più disponibile a chiudere un occhio. C’è poi l’ipotesi di Mike Bloomberg, sindaco repubblicano, ma liberal, di New York. Si parla già di un miliardo di dollari di tasca propria per un ticket indipendente col senatore repubblicano e centrista Chuck Hagel. Una mossa formidabile, per Hillary Clinton.

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