New York. Non c’è giornale, di qua o di là dell’Atlantico, che non abbia riportato o citato o commentato il contenuto del libro di George Tenet, l’ex direttore della Cia scelto da Bill Clinton e confermato da George W. Bush. Pochi, però, sembra che l’abbiano letto. La cosa che ha fatto titolo sui giornali di tutto il mondo è l’accusa a Dick Cheney, e al manipolo di intellettuali neoconservatori intorno a lui, di aver deciso di invadere l’Iraq già l’indomani dell’11 settembre, a prescindere da prove, armi di sterminio o connessioni con al Qaida. “At the center of the Storm”, nelle sue 550 pagine contiene invece parecchie altre cose interessanti. Ne scegliamo tre: l’Amministrazione Clinton e Bin Laden, i rapporti tra Saddam e al Qaida, la bufala del Nigergate e del Ciagate. Tenet racconta che al momento dell’insediamento alla Casa Bianca, Bill Clinton decise di cambiare abitudine e di non ricevere personalmente il briefing mattutino della Cia, limitandosi a leggerne il riassunto inviato via fax. Il libro svela i particolari delle riunioni con Condi Rice negli otto mesi precedenti l’11 settembre sulle minacce binladeniste contro gli interessi americani, ma è ancora più dettagliato nel raccontare il fallimento dell’Amministrazione Clinton negli otto anni precedenti. Il 4 dicembre 1998, per esempio, il daily briefing inviato al presidente era titolato: “Bin Laden si prepara a dirottare aerei americani, più altri attacchi”. I clintoniani, spiega Tenet, non sottovalutavano il pericolo, però credevano che il terrorismo fosse una questione di ordine pubblico da affrontare in tribunale. Il dipartimento di giustizia era impegnato a raccogliere prove processuali contro Bin Laden e alla Cia fu chiesto di catturarlo ma di non ucciderlo. Tenet racconta di un incontro con il ministro della Giustizia di Clinton, Janet Reno, la quale gli disse chiaramente che se la Cia avesse semplicemente tentato di uccidere Bin Laden sarebbe stato considerato un atto “illegale”, “non permesso” e “inaccettabile”. Le chance di ucciderlo, ricorda Tenet, sono state più d’una, ma ogni volta rigettate o perché c’era il rischio di colpire dei civili o perché le percentuali di riuscita erano troppo basse. In particolare, Tenet torna alla primavera del 1998, quando una tribù afghana amica degli americani aveva individuato il luogo dove stava Bin Laden. L’Amministrazione non diede il via libera all’operazione, anche perché non era certa della capacità degli afghani di portare a termine l’attacco contro Bin Laden. Tenet, però, ricorda che il Comando delle operazioni speciali e l’ufficio della Cia anti Bin Laden avevano detto che il piano d’attacco era buono e che avrebbe avuto percentuali altissime di successo se fosse stato attuato dalle forze speciali: “Ma nessuno dentro il governo ha autorizzato l’uso del corpo d’élite americano”. Seconda cosa. Tenet dedica il diciottesimo capitolo del libro a spiegare che Saddam non aveva “né autorità, né direzione, né controllo” di al Qaida. Il testo, però, conferma in pieno la relazione tra l’Iraq e al Qaida o, per dirla con Tenet, che “c’era la prova più che sufficiente affinché ce ne preoccupassimo seriamente”. Seguono pagine e pagine di legami, rapporti, collaborazioni e incontri tra i servizi iracheni e Bin Laden che risalivano fino a dieci anni prima. Del resto, già nel 1998, Clinton aveva citato i rapporti Cia per giustificare il bombardamento in Sudan della fabbrica farmaceutica, gestita dagli iracheni con i soldi dell’Oil for food e sospettata di produrre gas nervino per Bin Laden. La terza cosa che non si è letta sui giornali è il capitolo dedicato alle “sedici parole” del discorso bushiano sullo Stato dell’Unione del 2003, un discorso autorizzato preventivamente dalla Cia. I “teorici del complotto”, definiti così proprio da Tenet, sostengono che le parole di Bush sul tentativo iracheno di acquistare uranio da paesi africani siano state la primaria giustificazione per l’invasione dell’Iraq. Tenet ridicolizza l’ipotesi e spiega in lungo e in largo, citando i documenti ufficiali, che né la Cia né l’Amministrazione hanno mai dato grande peso a quelle informazioni provenienti dai servizi inglesi (inglesi, non italiani, giacché la fantasia che sia stato il Sismi a fornire prove false non è nemmeno presa in considerazione). Il direttore della Cia, insomma, svela che il pilastro fondamentale del Nigergate e del Ciagate non sta in piedi. Più nel dettaglio, Tenet non fa mai riferimento ai falsi documenti italiani (se non in un inciso) e, sulla questione uranio del Niger, spiega le differenze di valutazione tra la Cia e gli inglesi. Non solo. Tenet smonta anche la teoria del complotto dell’Amministrazione anti Joseph Wilson e contro sua moglie Valerie Plame, sebbene sia stato lui a denunciare al dipartimento di giustizia la soffiata ai giornali dell’identità di Valerie Plame. Tenet, però, spiega che il viaggio di Wilson non se l’è mai filato nessuno, né quando è stato inviato in Africa, né quando è tornato, né nei mesi successivi, e non perché qualcuno avesse voluto nascondere le scottanti verità scoperte da Wilson, piuttosto perché la missione di Wilson era stata “inconcludente” al punto che quando è scoppiato il caso “l’ufficio stampa della Cia ha avuto problemi a trovare persone che si ricordassero di quel viaggio”. Il libro svela che, a differenza di quanto sbandierato da Wilson, il viaggio di Wilson in Niger non è stato organizzato su richiesta di Cheney e assicura che nessuno mai ne ha fatto cenno al vicepresidente. Inoltre, Tenet scrive che è stato Wilson, più volte, a parlare con i giornalisti del suo viaggio e che la Cia non ha mai detto ai giornalisti che lo status dell’agente Valerie Plame fosse coperto. In generale, il libro di Tenet è contraddittorio. Tenet tende a dire una cosa e anche il suo contrario, anche perché non può negare di avere preparato documenti di intelligence che giuravano sulla presenza di armi di sterminio in Iraq né di aver detto – in una ormai famosa riunione nello Studio ovale raccontata in un libro di Bob Woodward – che trovare le armi di Saddam sarebbe stato uno “slam dunk”, un modo di dire mutuato dal gergo cestistico per assicurare che sarebbe stato facile come un gioco da ragazzi. Tenet ora dice che quella frase è stata presa fuori dal contesto e ricorda tutte le volte che la Cia ha espresso dubbi sull’intera vicenda irachena. L’ambiguità del libro, che tra l’altro assolve Bush, ha scatenato le critiche negative e gli sfottò dei commentatori di sinistra, riassunte nel “meglio mai che tardi” scritto da Maureen Dowd sul Times. Sono piovute critiche altrettanto dure, forse ancora di più, dal fronte dei sostenitori della liberazione dell’Iraq, una su tutte quella ruvida di Christopher Hitchens che gli dà di mediocre, leccaculo, sfigato, falsario e auto-apologeta. George Tenet è il direttore della Cia che non è riuscito a prevenire l’undici settembre e, prima di quella data, le stragi binladeniste alle ambasciate americane in Africa e contro la nave USS Cole. La Cia di Tenet, peraltro, è la stessa che, nel 1999, ha fornito al Pentagono le coordinate sbagliate di un deposito di armi a Belgrado, provocando la distruzione dell’ambasciata cinese (Tenet racconta che, anni dopo, molto prima dell’inizio della guerra in Iraq, i cinesi gli hanno
faxato l’esatta ubicazione della loro rappresentanza a Baghdad, in modo che l’errore non fosse ripetuto). La Cia di Tenet è l’agenzia di intelligence convinta, come tutti gli altri servizi del mondo, che Saddam possedesse scorte di armi chimiche e batteriologiche, come ha scritto nel National Intelligence Estimate 2002, il vero documento alla base della guerra in Iraq, dove la questione nigerina è citata solo di striscio e non è sottolineata nei “Key Judgements”. Le armi, però, perlomeno in quelle quantità non sono mai state trovate. E, a giustificare il fallimento, non sono stati sufficienti – scrive Tenet – la scoperta di laboratori segreti, la prova delle violazioni delle risoluzioni Onu e la ripresa dei programmi missilistici, nucleari e chimici. Il destino della Cia, è questo. Il suo lavoro è segreto e si nota soltanto quando fallisce. Certo, però, non depone a favore della competenza della Cia di Tenet il fatto che già alla prima pagina del libro ci sia un errore clamoroso (e ce ne sono anche altri dopo). Tenet racconta di essere andato, il 12 settembre 2001, alla Casa Bianca e di aver incontrato all’uscita Richard Perle. Il guru dei neoconservatori gli avrebbe detto che “l’Iraq dovrà pagare per ciò che è successo ieri”, introducendo il tema centrale del libro, quello della nefasta presenza accanto a Bush della cabala neocon. Perle, però, l’undici settembre si trovava nella sua casa in Francia, impossibilitato a rientrare in America fino alla riapertura dei voli avvenuta parecchi giorni dopo l’attacco. Perle, inoltre, ha negato di aver mai detto queste cose. L’editore si è scusato.
4 Maggio 2007