Camillo di Christian RoccaBob Kennedy, l'anticomunista amico di McCarthy che cercò di assassinare Castro. Un mito

New York. Ci sono leader che si fanno guidare dalla fede e ci sono uomini politici che scelgono il mito come bussola del proprio cammino pubblico. Walter Veltroni ha il mito dell’Altra America, quella buona e illuminista contrapposta a una imperialista e arrogante. Soprattutto è l’officiante del culto iconico dei Kennedy, in particolare di Robert detto Bob. Sostituire la fede con il mito è un’operazione geniale, a patto che la storia venga raccontata per intero. I Kennedy, dunque. John (Jfk) è l’uomo della Nuova Frontiera e dello sbarco sulla Luna. Bob (Rfk) è quello dei diritti civili e della giustizia sociale. Tutto vero, soltanto enfatizzato dalla loro morte tragica, avvenuta l’una a Dallas nel 1963 e l’altra a Los Angeles nel 1968. La gran parte dell’allure dei Kennedy risiede nel che cosa sarebbero stati e nel che cosa avrebbero fatto, se non fossero stati entrambi uccisi. Jfk e Rfk però sono stati e hanno fatto molte cose, oltre il mito. Sono stati i due rampolli di un’influente famiglia americana la cui epopea non è soltanto glamour, Brooks Brother’s e barche a vela, ma anche l’emblema del rapporto ruvido tra politica e potere, quanto di più distante possa esistere dalla mitologia veltroniana. Il guru della sinistra radicale globale, Noam Chomsky, ha scritto “Rethinking Camelot”, un feroce atto d’accusa su John e il Vietnam. L’eroe del giornalismo militante contro ogni potere costituito, Seymour Hersh – oggi impegnato nell’opera di distruzione della presidenza Bush –, ha scritto “The dark side of Camelot”, la controstoria della presidenza Kennedy caratterizzata da fallimenti, scandali e abusi di potere che “sono andati ben oltre le piccole indulgenze personali, ma che hanno minacciato la sicurezza della nazione e l’integrità della presidenza”. Hersh è convinto che soltanto l’aiuto di suo fratello Bob, da lui nominato niente di meno che ministro della Giustizia, e poi la morte a Dallas, gli hanno evitato un grande processo politico e pubblico che lo avrebbe fatto crollare. John Kennedy era tutto tranne che il ritratto della purezza, non solo per i suoi notori tradimenti coniugali, ma anche per le sue discutibili frequentazioni, a cominciare dall’amante che divideva con un boss mafioso. Kennedy ha battuto Richard Nixon in una elezione nota perché i due candidati avevano lo stesso identico programma, specie in politica estera, e che fu vinta anche grazie al sostegno ai limiti della legalità di una potente famiglia politica ancora oggi al potere a Chicago. Jfk è difficilmente ascrivibile al Pantheon d’eroi del Partito democratico italiano, visto che una volta alla Casa Bianca avviò la guerra del Vietnam, provò a invadere Cuba, fu sul punto di far scoppiare la terza guerra mondiale con i sovietici (ma in versione atomica), propose di “abbassare energicamente le tasse” e ritardò l’adozione della legge sui diritti civili per paura di perdere il voto dei segregazionisti democratici del sud. Kennedy è l’emblema dell’anticomunismo militante, l’ispiratore di una generazione di “cold warriors”, il presidente della politica estera unilaterale basata sulla dottrina del fermare a tutti i costi l’effetto domino creato dall’avanzata comunista. Kennedy è stato il comandante in capo del riarmo, degli interventi militari preventivi in Asia e in America latina, oltre che il fustigatore dell’inutilità dell’Onu. Kennedy invitava l’occidente a non andare troppo per il sottile: “Non deve esservi alcun dubbio nelle nostre menti, la decisione deve essere immediata: se discutiamo, se esitiamo, se poniamo quesiti, sarà troppo tardi”, ha scritto nel suo libro dal titolo “Perché l’Inghilterra dormì”, scritto nel 1940 e pubblicato in Italia soltanto dalla casa editrice di estrema destra “Il Borghese”. (segue dalla prima pagina) Il lato oscuro del mito dei Kennedy parte dalle attività del patriarca Joe, ma coinvolge il presidente e più di tutti Bob, l’idolo veltroniano. Joseph Kennedy senior è stato da ambasciatore a Londra nel 1938, dove si è fatto un nome che difficilmente potrebbe entrare in una clip di Walter Veltroni. Kennedy senior sosteneva che un compromesso con i nazisti era possibile, criticava Winston Churchill che credeva il contrario, appoggiava l’allora premier inglese Neville Chamberlain che a Monaco fu il protagonista della resa occidentale a Hitler. Ancora: riceveva gli elogi dei nazisti, provava a incontrare il Fürher, era contrario all’intervento militare contro i nazifascisti e si batteva contro Franklin Delano Roosevelt passato, nel frattempo, da un atteggiamento neutrale a un’aperta politica antinazista. Come se non bastasse, i libri di storia kennediana sono colmi di citazioni esplicitamente antisemite cui spesso il patriarca di Boston si lasciava andare (“gli ebrei come individui vanno bene, ma come razza puzzano, si appropriano di tutto ciò che toccano”). Jfk inviò 16 mila tra advisors militari e forze speciali in Vietnam a sostegno del governo anticomunista e autorizzò l’uso del napalm. La mitologia kennediana fornisce varie prove del fatto che si fosse convinto a ritirare mille uomini entro il 1964 e che l’assassinio non glielo avrebbe permesso. Altri storici, a cominciare da Chomsky, sostengono il contrario e considerano l’escalation militare del suo vice Lyndon B. Johnson la diretta continuazione dei piani kennediani. Le biografie uscite in questi anni raccontano un Bob Kennedy che va oltre l’icona del pacifista e del militante dei diritti civili, del politico capace di sfidare l’apartheid sudafricano e di lottare per la giustizia sociale. Bob Kennedy è ricordato, piuttosto, come un uomo cattivo e spietato, addirittura omofobico, capace di vedere soltanto il bianco o il nero. Suo padre di lui diceva: “Quando Bob ti odia, ti odia tutta la vita”. Chi ha lavorato con lui ricorda le crisi di collera e gli atteggiamenti bambineschi. Alla guida delle campagne elettorali del fratello, Bob ha inaugurato la stagione dei “dirty tricks”, i “giochi sporchi” che poi sono diventati sinonimo delle campagne politiche di Nixon. Alle primarie, nelle contee cattoliche, Bob faceva distribuire volantini anticattolici firmati dall’incolpevole avversario di suo fratello, provocando reazione e sdegno tra gli elettori. I primi passi pubblici di Bob Kennedy sono quasi sempre nascosti dai suoi fan. Bob cominciò a investigare sui presunti agenti sovietici, alla sezione di Sicurezza interni del dipartimento di Giustizia. Nel 1952 è diventato consigliere del senatore repubblicano Joe McCarthy, proprio ai tempi della Commissione per le attività antiamericane che inaugurò la stagione della caccia alle streghe comuniste. McCarthy era un amico di famiglia, riceveva finanziamenti dai Kennedy, con i quali scambiava favori politici, a cominciare da una specie di desistenza al momento della candidatura di John al Senato. McCarthy era il pupillo del patriarca Joe e l’ex fidanzato delle due sorelle di John e Bob, prima di Eunice (oggi suocera di Schwarzenegger), poi di Pat. Bob ha lavorato sei mesi con lui, durante i quali gli stava dietro mentre il senatore tartassava le sue vittime sospettate di comunismo. L’accostamento tra i Kennedy e il maccartismo era, ed è, parecchio imbarazzante, tanto che John era sempre costretto a trovare una scusa per non criticare o non censurare mezzi e metodi che facevano inbufalire l’America liberal. La versione ufficiale del mito dei Kennedy dice che Bob ha lasciato McCarthy quando ha intuito la direzione che stavano prendendo le sue inchieste. Le ricostruzioni più
indipendenti raccontano che si è dimesso su suggerimento del padre, non appena questi ricevette notizia dal capo dell’Fbi, J. Edgar Hoover, che McCarthy era sulla via dell’autodistruzione. Le campagne anticomuniste di Bob sono continuate al dipartimento di Giustizia. Il 10 ottobre 1963, Bob ha commesso quello che è considerato uno degli atti più ignobili della storia politica americana: autorizzò l’Fbi di Hoover a intercettare le telefonate di Martin Luther King e dei suoi familiari, perché sospettati di coprire le attività comuniste di un collaboratore. In seguito, Bob ha recuperato il rapporto con King e dopo l’assassinio del reverendo è diventato lui stesso l’icona del movimento dei diritti civili. Ma la crociata anticomunista di Bob non ha mai conosciuto soste. Alla Casa Bianca era lui a guidare le operazioni per uccidere Fidel Castro. A lui si deve anche il conio della parola “counterinsurgency”. Jfk gli aveva affidato un ufficio speciale di attività anti insurrezioni, dove gli uomini di Bob addestravano le polizie degli stati dell’America del sud a sopprimere le rivolte comuniste. Il dipartimento di Stato era contrario, ma l’impulso messianico di Bob ha avuto la meglio, col risultato che gli apparati di sicurezza di quei paesi sono diventati uno strumento di repressione efficiente e professionale.

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