Veltroni potrà vincere la scommessa del Partito democratico solo se metterà nel conto l’ipotesi di perderla. Se si limiterà, invece, a presentarsi al paese come la versione contemporanea di Prodi, o come il profeta ecumenico del voler tenere tutto insieme, la scommessa sarà bella che persa prima ancora di cominciare. Certo, visto il dramma dell’altra parte, Veltroni potrebbe ugualmente vincere le elezioni, ma una volta a Palazzo Chigi non ci sarebbe alcuna differenza con il paradossale governo attuale, se non la figata di avere un premier capace di parlare di telefilm americani, di jazz e di basket Nba. Per vincere la scommessa, Veltroni dovrebbe fare una sola cosa, anzi due. E dovrebbe farle subito, domani stesso, al momento dell’accettazione oligarchica della sua candidatura. Dovrebbe dire, anzi giurare, che il nuovo Partito democratico non farà alleanze elettorali con la sinistra radicale, né con i due partiti comunisti, né con i verdi ex democrazia proletaria, né con gli ex compagni mussiani che hanno lasciato i Ds per non aderire al Partito democratico. Subito dopo, dovrebbe offrire a Berlusconi un patto tra gentiluomini: io non mi alleo con gli illiberali di sinistra, tu corri senza la Lega e le frattaglie fasciste. Una cosa da paese normale, per usare uno slogan dalemiano. Viceversa non si capirebbe la novità di un progetto politico che al momento del voto, cioè nell’unico momento che conta, tornasse ad abbracciare il passato. Questo alzare la posta per vincere davvero la scommessa, Nicolas Sarkozy l’ha definita “rupture”, “rottura”, proprio quest’anno. Tony Blair l’ha chiamata “New Labour” nel 1996. La sinistra tedesca “Godesberg Program” addirittura nel 1959, mentre era il 1947 quando i democratici americani Eleanor Roosevelt, Arthur Schlesinger e John Kenneth Galbraith lanciarono gli “Americans for Democratic Actions”. Dopo i fallimenti dalemiani, Veltroni è l’unico in grado di poter far partire una rottura italiana, malgrado finora sia stato l’emblema di una politica fondata sul democristianissimo principio del “molti amici, molto onore”. La tattica piccista del “nessun nemico a sinistra”, dovrebbe essere sostituita con il principio del “tantissimi nemici, soprattutto a sinistra”. Questo non vuol dire che Veltroni debba andare oltre la sinistra, anche perché come diceva Max D’Alema a proposito del saggio “Oltre la sinistra” di Nando Adornato, “oltre la sinistra c’è solo la destra”. Deve, però, evitare che il Partito democratico diventi la realizzazione, trent’anni dopo, del Compromesso storico, una delle stagioni più fallimentari della nostra Repubblica. Oggi il Partito democratico è il tentativo di fondere la tradizione italocomunista con quella democristiana, i due principali motivi per cui siamo nella situazione disperata in cui ci troviamo. Veltroni potrà vincere la scommessa se proverà a invertire questa direzione e se inviterà gli altri fondatori a stare con lui, oppure a presentare programma e leader alternativi. Chi ha paura che senza la sinistra illiberale non si potrà mai vincere, non si rende conto di quanti consensi si potranno conquistare altrove. E poi, come canta il filosofo di riferimento di Veltroni, non è mica da questi particolari che si giudica un leader, un leader lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
26 Giugno 2007